di Arianna MICHETTONI

Le pagelle biancazzurre della fondamentale ed emozionante vittoria della Lazio contro la Cremonese, che ha chiuso il campionato all’Olimpico prima dell’ultima trasferta di Empoli:




Provedel – 6: Un voto che non è la sintesi di un destino accolto 37 partite fa quando, ancora ignaro, il portiere della seconda miglior difesa del campionato riceveva in sorte la titolarità e la difendeva come ha difeso la sua squadra: con una perfezione sfiorata, un tratteggio che nessun gol o autogol sfortunato ha saputo cancellare.

Lazzari – 5.5: Non manca la corsa, resa vana però da una prestazione già opaca e poi definitivamente sporcata dall’autogol (pure difficile, così infilato all’angolino). Il clima festoso e l’aria sognante di tutti i presenti ne sfumano la perentorietà del giudizio.

Casale – 6: Poche luci, nessuna ombra. Una partita concreta che ha risentito dei ritmi di gioco collettivi: molto bene nel primo tempo, calo vistoso nella seconda frazione di gioco. Nel suo ruolo, tuttavia, pochi errori: buon giro palla, ottima copertura. Se osasse maggiormente in uscita, sarebbe difensore totale.

Romagnoli – 6: Ha negli occhi la festa, l’emozione esaltata da dieci lunghi anni d’attesa. È la sua Lazio, è l’innamorato che l’ha presa per mano ad inizio campionato e l’ha condotta, a presa stretta, sul piano di classifica più nobile. Perché, nella narrazione complessiva, ha il principale merito dell’ottima tenuta difensiva.

Hysaj – 6.5: Prolunga i festeggiamenti a partita iniziata, prendendosi l’ovazione di uno Stadio Olimpico colorato di biancazzurro. Fa un gol che non è solo bello – realizzazione di un veloce movimento di smarcatura – ma è anche la morale fiabesca di un valore perso e ritrovato. (Dall’80’ Pellegrini – SV)

Milinkovic-Savic – 7.5: Deve solo voltarsi: guardarsi indietro e capire, come un’epifania tardiva e accalorata, che ogni singola scelta, ogni decisione, ogni passo compiuto in un’apparente direzione casuale l’ha in realtà condotto in questo stadio che può vantare il tutto esaurito, in questo pomeriggio di Coppa e di Champions League, a segnare questo gol di talento puro e di esplosione d’amore. Chi più lontano vede, più a lungo sogna.

Vecino – 6.5: Torna a risolvere il vuoto a perdere del centrocampo, facendo – soprattutto nei primi quarantacinque di gioco – l’essenziale lavoro di contenimento, gioco palla e ripartenza che tanto era mancato alla Lazio e ai suoi meccanismi di equilibrio.

Luis Alberto – 6: Fa l’ennesima magia e sparisce, per il sol gusto di esibire tutti i trucchi stagionali a mo’ di saluto del suo pubblico. Poi riappare alla ricerca della sua posizione ma fa fatica a trovare spazi, come un prestigiatore che ha saturato le sue capacità e ha bisogno di nuovi stimoli. Nessun coniglio dal cilindro ma un cappello tirato giù per il calciatore (forse anche l’uomo) che ha maggiormente responsabilizzato sé stesso e la squadra, spostandola – letteralmente, a volte – in avanti, verso nuovi giochi di prestigio. (Dal 90’ Basic – SV)

Pedro – 7: Veste la maglia da titolare nella partita più bella, più sentita, quella che ha il definitivo spirito catartico e la consacrazione biancazzurra. È la Lazio che ti sceglie ma solo se ti rendi degno di essere scelto: Pedro è più laziale di tanti, più grintoso di tanti, più talentuoso di tutti.

Immobile – 6: Alla ricerca del gol perduto. Un romanzo laziale che ha ispirazione ma non compimento, sommai disperazione nei tentativi di forza smisurata a mal celare una mancanza quasi ossessiva. Un gol per smettere di annaspare, mentre le riserve d’ossigeno vanno esaurendosi e l’idea di, semplicemente, respirare a pieni polmoni sfuma in un’apnea auto-indotta. Il tempo per rifiatare c’è, deve solo convincersene e concedersi una boccata d’aria.

Zaccagni – 6.5: Se non è a subire fallo, è a inventare trame di gioco e affondi sulla fascia. A nulla vale il raddoppio di marcatura operato dalla Cremonese, lui va sapendo di essere imprendibile, va e smista palloni al centro dell’area. (Dal 91’ Radu – Senza voto, perché l’immenso non ha una cifra distintiva.)

All. Sarri – 9: La celebrazione di questa vittoria, solo l’ultima e forse, però, la più importante, sta anche in quell’espulsione al sapore di liberazione. Ai vincitori, si sa, vengono distribuiti gloria, onore e il compito di scrivere la storia: lui racconta la sua vicenda autobiografica, il suo incontro con una squadra dimenticata, disillusa, in disparte e che tiene lì, nell’ombra, lontano da chi non ha voluto invitarla, per il gusto di crearle una festa privata ed invidiatissima.






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