di Arianna MICHETTONI

La depersonalizzazione del giornalista induce, tacitamente, ad annullare l’esistenza di una voce narrante – quasi le dita che ticchettano i tasti siano solo un’invenzione creativa. Non esiste un prima o dopo, nel giornalismo: è un racconto di un eterno durante, scevro di qualsivoglia cornice temporale, sospeso nel presente, fluttuante in un adesso che si sposta appena un po’, teso in avanti. Non esiste l’aneddoto del giornalista, non esiste neppure l’amico, il pronostico, la scaramanzia.




E quindi l’elettrostatica odierna non è contenuta in nessuna data, in nessuna strada trafficata, non è filodiffusa come un allegro motivetto natalizio: è a chilometri, chilometri, chilometri di distanza, dove i corpi sono diversi ed è diverso pure il corpo di un giornalista.
È a chilometri, chilometri, chilometri di distanza che si gioca la partita-passerella, quasi fosse una soccer-fashion-week di lusso e dettami non solo calcistici: si affrontano Juventus e Lazio per una Supercoppa italiana – non Italia – con nastrini e scintillii da mattina di Natale e da felicità un po’ bambina, per i vincitori, e da cinismo adulto – quello amaro, tanto amara è la scoperta che Babbo Natale non esiste.




Nei primi 45’ di gioco è assolo Juventus: sugli spalti, silenziosissimi a volte, più partecipi dell’umanizzazione del marketing – Cristiano Ronaldo; in campo, dove i bianconeri hanno il quasi totale controllo del possesso palla. Si gioca molto a centrocampo: la Juve tenta di penetrare la mediana biancazzurra, cerca spazi, fa giravolte e tuttavia, puntualmente, è fermata dalla retroguardia laziale. La Lazio ha i tempi dell’attesa, sicura di otto vittorie consecutive e sicura dei suoi interpreti migliori, scandisce bene il movimento di interdizione e di apertura. E in questa coreografia di mosse e contromosse, strategia di difesa e attacco, la Lazio logora l’offensiva juventina e la Juventus stanca la linea difensiva laziale.
Eppure, al 17’, è un’azione perfetta della Lazio a sbloccare il gioco di riflessi e di rimandi che equilibrava la partita: la Juventus, di certo più pericolosa – in ogni caso, più propositiva – va in svantaggio su tiro-ribattuta di Luis Alberto che riceve l’assist di Milinkovic dopo che Lulic aveva mandato a spasso De Sciglio sulla sinistra. È l’esultanza di una squadra finalmente consapevole, finalmente cinica, incredibilmente bella; è un’esultanza sentenza, morale di una fiaba di Cenerentole di azzurro vestite e che indossano le scarpette di cristallo – mentre le sorellastre Ronaldo e Dybala stanno a guardare, capire, ricordare di aver già visto quella squadra che al centro del campo balla.




Poi si sa, le lancette scandiscono il tempo del sortilegio: si arriva al 30’ e la Juventus ha la più nitida occasione per pareggiare. Una punizione dal limite dell’area battuta dal numero 7 bianconero dà l’illusione del pareggio. Al 32’, però, la Lazio restituisce il colpo: Szczesny ribatte d’istinto il tiro di Correa – mai davvero in partita, per dovere di cronaca – e la difesa della Juve, poi, impedisce la ribattuta vincente di Immobile.

Nel finale di primo tempo è forcing Juventus: i bianconeri massimizzano i tentativi di scardinamento della difesa della Lazio, e la forza dell’assalto perentorio e disperato è un efficace modo d’ingresso nell’area biancazzurra. L’irruenza dell’attacco juventino manca forse di precisione, non di fortuna: mentre la Lazio non capitalizza le ripartenze, al 45’ il pareggio della Juventus è più delusione difensiva laziale: gli uomini di Inzaghi fan tutto bene, tranne impedire il facile tap-in di Dybala. Così la prima frazione di gioco si conclude con un concetto di parità solo apparente: le statistiche sono tutte a favore della Juventus.

La pausa, il commento degli opinionisti, il trofeo da assegnare: così le squadre rientrano in campo, con i volti tirati da un minutaggio che inesorabile scorre ed offre sempre più certezze biancazzurre. La Lazio ha l’attacco di chi non ha nulla da perdere, piuttosto da scivolare: è Lazzari che non fa l’alzati e cammina, e spreca un’occasione potenzialmente da uno contro uno. Poco fa anche la Juventus, comunque: che non cade ma non si rialza, che guarda la prima squadra della capitale fuggire non sulla scalinata del castello ma sul campo di gioco. Tanto che al 72’ arriva il vantaggio siglato da un Lulic così tanto a suo agio nei gol di Coppa da alimentare non la favola, ma la leggenda. Inzaghi non sbaglia nulla – non sbaglia la formazione iniziale, non sbaglia i cambi: nessun ammonito in campo, fase contenitiva perfetta, Juventus mai più davvero pericolosa. Non c’è purtroppo gioia per Correa, il cui tiro che finisce in porta viene annullato per fuorigioco; c’è invece enorme, perfetta gioia per Cataldi che, in pieno recupero, batte la punizione perfetta – quella tanto decantata nei protagonisti juventini, e però agita dalla Lazio. Un abbraccio totale, perfetto, combaciante con la magia del fischio finale – sugello dell’incantesimo, della bacchetta magica ovvero Coppa alzata al cielo dalla Lazio.




IL TABELLINO

SUPERCOPPA ITALIANA

JUVENTUS-LAZIO 1-3

Marcatori: 17′ Luis Alberto (L), 45′ Dybala (J), 73′ Lulic (L), 94′ Cataldi (L)

JUVENTUS (4-3-3): Szczesny; De Sciglio (55′ Cuadrado), Bonucci, Demiral, Alex Sandro; Bentancur, Pjanic, Matuidi (76′ Douglas Costa); Dybala, Higuain (66′ Ramsey), Ronaldo. A disp.: Buffon, Pinsoglio, Rugani, De Ligt, Danilo, Can, Rabiot, Bernardeschi, Pjaca. All.: Maurizio Sarri.

LAZIO (3-5-2): Strakosha; Luiz Felipe, Acerbi, Radu; Lazzari, Milinkovic, Leiva (64′ Cataldi), Luis Alberto (66′ Parolo), Lulic; Correa, Immobile (81′ Caicedo). A disp.: Proto, Guerrieri, Bastos, Patric, Marusic,  Berisha, Jony, André Anderson, Adekanye.  All.: Simone Inzaghi.

Arbitro: Gianpaolo Calvarese (sez. di Teramo)

Ass.: Costanzo – Nasca

IV uomo: Maresca

V.A.R.: Mazzoneli

A.V.A.R.: Giacomelli

Ris.: Alassio

NOTE. Ammoniti: 9′ Matuidi (J), 34′ Leiva (L), 48′ Bentancur (J), 58′ Luis Alberto (L)






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