È stato un destino fortunato o forse l’amore che ci univa, ma mi ha dato la possibilità di vedere Vincenzino sabato pomeriggio, prima che se ne andasse. Io e Giancarlo accanto, come sempre, fino all’ultimo momento“. Bruno Giordano, in un’intervista rilasciata al quotidiano Il Messaggero, ringrazia ancora il cielo per aver avuto questa opportunità, lui e Oddi come scudieri di Peter Pan, che ci ha lasciati tutti senza parole e senza il suo sorriso.




Lo chiamavamo proprio così, da ragazzino, quando nella Lazio era un leader che non tutti riconoscevano all’epoca. Il Golden Boy biancoceleste, la classe cristallina al servizio della squadra. Non avete idea di quanto fosse forte D’Amico, il mio fratellino“.

“Quante ne abbiamo passate insieme, non posso neanche dire che fosse un semplice amico perché ci vedevamo quasi tutti i giorni, proprio come fratelli. Prima in campo e poi fuori, nemmeno quando decise di andare in Portogallo, a Madeira, ci siamo allontanati. Appena atterrava a Roma, andavamo a cena, ovviamente anche con Giancarlo. Era una persona speciale, in tutto. Come in campo. Adesso vorrei che gli venisse riconosciuto il valore che Vincenzo aveva come giocatore perché non tutti lo hanno capito”.

Un sospiro e un accostamento da brividi. “Credetemi, solo Diego era più forte di lui e quando glielo dicevano non si arrabbiava. Riconosceva la grandezza di Maradona, ci mancherebbe, ma dal punto di vista tecnico anche D’Amico era un mostro. Non si arrabbino i talenti di quell’epoca, Antognoni, Causio, Sala e Beccalossi. Lui aveva una classe incredibile, non gli mancava niente, neanche il carattere perché non era soltanto un guascone. Pensate a un ragazzo di 19 anni, che si affaccia nella Lazio, e forse nella squadra più folle di sempre, e si impone a tal punto da diventare titolare e protagonista dello scudetto. La società non era così forte da poter sostenere lui e un gruppo così strano, altrimenti avrebbe fatto un’altra carriera e avrebbe avuto una considerazione maggiore“.

Giordano ricorda: “Eravamo a Caserta, prima della partita Vincenzino era furibondo perché Maestrelli gli aveva sequestrato lo stipendio e lui sosteneva che non sarebbe andato avanti per troppo tempo con 300mila lire. Ad un certo punto finì il caffè e si mise a palleggiare con la tazzina, che non è mai caduta. Che talento, che uomo folle e meraviglioso“.






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