di Arianna MICHETTONI

Mandas 6.5 – Gran parata nel primo tempo su Vlahovic, ha fatto tutto quello che poteva, quando poteva.

Casale — 6: Prestazione discreta, coerente con quanto offerto sul campo dal ritorno alla titolarità. È, tra i tre di difesa, il meno “vistoso”: minori interventi fondamentali, minor movimento, minor presenza nelle trame di gioco laziali.

Romagnoli — 5.5: Solidità e concretezza costanti, ma guastate da un unico e gravissimo errore su Milik. Eppure è sempre in pressing sul portatore di palla juventino, quasi mai fuori posto e necessario punto di riferimento per la tenuta delle posizioni di tutto il reparto difensivo – tutto rovinato dal 2-1 bianconero. Il più lucido nello spazzare via palla quando era necessario difendere il doppio vantaggio.

Gila — 6,5: La crescita esponenziale del buon Mario continuerà a sorprendere per quel che resta di questa stagione. Sorprende anche la sfrontatezza dei contrasti e la voglia di affondare, creando nuovi spazi trasversali a tutto campo. (Dal 46’ Patric — 5.5: Grande assente nella traiettoria del tiraccio di Weah che annulla la possibilità dei supplementari).

Marusic — 6: Utilizzo consapevole della fisicità per avvantaggiarsi sull’avversario, la prestanza fisica è un buon rimedio anche alla scarsa velocità. La capacità di immolarsi sul tiro di McKennie aggiunge valore ad una prestazione già più che buona, utile anche ad allungare le speranze biancazzurre.

Cataldi — 6.5: È una partita che premia l’ordine tenuto a centrocampo, interrotto dalla sostituzione foriera di funesti presagi. In campo, è il perfetto supporto tra difesa e attacco, il connettore che facilita la manovra della Lazio. (Dall’81’ Rovella — 5.5: Ingresso choc: tocca il campo il tempo utile a decretare il 2-1 di Milik. I restanti minuti di gioco sono una lenta e fastidiosa attesa del fischio finale che sentenzia la mancanza di fortuna, non di coraggio).

Guendouzi — 7.5: Su ogni pallone c’è il suo piede; se non c’è, spostando lo sguardo non tarderà a mostrarsi la proiezione del suo piede. Ovunque ci sia da aggredire gli spazi, è lì; se una giocata va impostata velocemente, lui smista il pallone liberando lo spazio per il compagno. Artefice dell’entusiasmo laziale. (Dall’85’ Pedro – SV: scelto da Tudor nella disperazione del tutto per tutto, nulla può contro il catenaccio bianconero).

Hysaj — 5.5: Di errori accumulati ne ha tanti, così come tanto rallenta la creazione sulla fascia se ostacolato da Cambiaso e compagni. Non manca l’impegno e tanto basta per essere quanto meno partecipe del sogno di rimonta biancazzurra.

Felipe Anderson — 7: Forse ispirato dall’avversario, forse alleggerito da una prospettiva che allontana le storture e magnifica i momenti felici. Mette in campo tutti gli attimi belli vissuti finora con la Lazio, convertendoli in una prestazione presente che imbarazza qualitativamente la Juventus. Unico rimpianto, non averlo visto in campo più a lungo. (Dal 61’ Vecino — 6: In campo quando gli scenari futuri erano aperti su ogni possibilità, con la richiesta di aumentare equilibrio e tenuta. Tra i suoi piedi gira tutto bene).

Luis Alberto — 7.5: Non più magie, ma miracoli: riesce nel glorioso intento di risurrezione del Taty Castellanos, servendo assist sul filo di un fuorigioco che riannoda a suo piacimento. Il migliore nell’insinuarsi nello stretto, colui che riesce ad infilare una giocata in pochi centimetri – come fosse il cammello che passa per la cruna dell’ago.

Castellanos — 7.5: Vivo e (poco) vegeto, pronto a dar battaglia contro le critiche e i giudizi di inadeguatezza ricevuti. Sono due ma avrebbero potuto essere certamente tre – ma, dall’abbraccio liberatorio dato ad Immobile, gli si perdona tutto. Una doppietta che lo consacra tra gli eroi del “cosa sarebbe accaduto se fosse stata tripletta”. (Dall’81’ Immobile — 6: Può imporsi poco, per scarso minutaggio e per la sfortunata circostanza milikiana che coincide col suo ingresso. Ci prova e si muove, ma gli spazi sono ermeticamente sigillati dall’allargatissima retroguardia juventina).

All. Tudor — 6,5: Una sufficienza per quel che avrebbe potuto essere e che solo lui avrebbe potuto creare, ma non è stato. Piuttosto, crea confusione con cambi accelerati dal battito adrenalinico per il delinearsi della rimonta. A volte è meglio attendere e prolungare l’azione dell’immaginazione, piuttosto che cedere all’impulsività e disequilibrare la squadra. Nessuno, però, potrà togliergli il merito di avercela quasi fatta.

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