Nel giorno dell’anniversario della vittoria del 26 maggio 2013, ospitiamo i racconti di cari amici e colleghi e dei nostri redattori su quella fantastica giornata. Ricordiamo per l’occasione una firma e un amico che ci ha lasciato quest’anno, Claudio Chiarini, che ci ha offerto con queste righe il racconto di una giornata trionfale ma vissuta in maniera del tutto particolare… con un pizzico di sofferenza in più rispetto a quella che l’occasione già presentava.




#Ilmio26maggio: Quel 26 maggio… divina gioia e acuto dolore

di Claudio CHIARINI

Mesi prima, ignaro di quanto sarebbe potuto accadere, proprio quella fatidica giornata ero stato invitato, insieme con mia moglie e i nostri due figli, anche loro subacquei come me, ad un evento di pulizia dei fondali marini nel golfo di Baratti, in provincia di Livorno, al quale avrebbero partecipato anche alcune celebrità dello sport, come lo sciabolatore Aldo Montano e la Pallavolista Francesca Piccinini.

All’epoca vivevamo a Recanati e il giorno dell’inizio della vendita dei biglietti mi chiama mio fratello da Roma: “Vado a prendere la Curva, la prendo anche a te?” Ebbi un’esitazione. Nel 2009 ero volato fino a Pechino, da semplice tifoso e non da giornalista, per ammirare la Lazio di Ballardini prendersi gioco dell’Inter del triplete guidata dallo Specialone. Invece quattro anni dopo, in quel maggio del 2013 mi trovai in un tremendo conflitto: partire con la famiglia per una piccola escursione subacquea da tempo stabilita o mollare ogni impegno e correre allo stadio?

Da quattordicenne ero arrivato a scappare di casa per seguire in trasferta la Lazio che giocava in Serie B a Pistoia, Campobasso e in altri stadi di provincia, adesso dovevo rinunciare ad essere presente all’Olimpico per il derby della storia? Ma d’altronde come potevo deludere i miei figli adolescenti, laziali sì, ma appassionati molto più di subacquea che di calcio?

Alla fine partimmo con le nostre attrezzature e le valige, dove aveva trovato posto un passeggero clandestino: la tremenda ansia che sempre e da sempre accompagna l’avvicinarsi di un derby, moltiplicata dall’importanza unica e irripetibile dell’evento.
Fu così che, dopo una giornata della quale non ricordo nulla, vissuta come chiuso in una bolla che mi isolava completamente dal mondo esterno, mentre la sfida stava per iniziare io già mi trovavo sul pullman che ci riportava verso casa.

Seduto in disparte, avevo le cuffie nelle orecchie e la rabbia nel cuore per non essere lì con la mia Lazio. Ricordo che al fischio d’inizio piansi: il mio posto era in piedi sui seggiolini della Curva Nord, non sul sedile di quel torpedone. Era un pianto di rabbia, di impotenza.
Mentre le lacrime scendevano e il rammarico prendeva il sopravvento, vidi mia moglie che stava tranquillizzando le persone con le quali eravamo in viaggio, stupite di vedermi con le lacrime agli occhi. Diceva loro che non era successo nulla di grave, ma che era meglio non disturbarmi… Invece dal mio punto di vista stava accadendo proprio una tragedia!
Tutto il primo tempo lo vissi incollato alla radio. Una sofferenza immane.

Il caso volle che mettemmo piede dentro casa proprio mentre il secondo tempo stava per iniziare. Corsi ad accendere il televisore e mi ci piazzai davanti. Ero solo.
Mia moglie e i miei figli fin dalla mattina avevano evitato persino di rivolgermi troppo spesso la parola, vedendomi assente, comprendendo e rispettando il mio stato d’animo. Solo sott’acqua avevo ritrovato il mio solito stato meditativo che caratterizza tutte le mie immersioni.

Mi lasciarono vedere il secondo tempo nel mio studio, in solitudine. Corsero da me solo quando un urlo bestiale e liberatorio squarciò il silenzio di quella giornata: minuto 71’. Lulic. Palla in rete. Non c’è rivincita. Il mio sacrificio era stato ripagato.






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