di Arianna MICHETTONI

Le pagelle biancazzurre della sconfitta in casa col Bologna nel lunch match della venticinquesima giornata di Serie A:

Provedel – 4.5: Vita lenta, baciata dai tiepidi raggi di un sole primaverile fuori stagione. Una Lazio vincente e convincente, osservata da lontano, con una quasi nostalgia. Cosa potrebbe mai andare storto – cosa potrebbe rovinare l’idillio di un vantaggio meritato, come turbare la calma, placida serenità di una domenica all’apparenza perfetta? Sono domande da farsi, non da dirsi: con la stessa premura e dedizione di Provedel, che decide di prendersi l’ombra di un passaggio alla sfortuna, corrispondente al 17 bolognese El Azzouzi. E di fare, letteralmente creare, il pareggio rossoblù. Da cui scaturisce l’effetto domino – nel senso di dominazione – del Bologna: sull’azione perfetta coronata da Zirkzee nulla può.




Marusic – 6: Trasformatosi nel terzino che non meritiamo, ma di cui abbiamo bisogno. Più slancio sulla fascia, per quanto la lezione karmica gli imponga di scivolare per rimediare a un colpo di tacco riuscito. Si affaccia spesso sulla trequarti per partecipare al gioco del retropassaggio. Quale che sia il risultato ottenuto, c’è abnegazione e un certo entusiasmo: se va bene, sta dalla parte del bene; se va male, si associa volentieri al peggio che può fare.

Gila – 6: Una solidità difensiva che si infrange nell’incredulità del passaggio di Provedel, a lui destinato ma raggiungibile – forse – in un altro universo, lo stesso parallelo che la Lazio evita. Non può far nulla se non reggere ancora le sorti della difesa, unico capace di uscire palla al piede dalla sua area, unico pilastro fisso di un reparto sul punto di implodere nel caos.

Patric – SV: nell’impossibilità di un giudizio di merito, l’augurio di una pronta e completa guarigione. (All’11’ Casale – 4,5: Allontana chiunque provi ad avvicinarsi, pur stando – facilissimo da notare a difesa schierata – sempre un passo dietro Gila. Le manovre supportive sono affrontate col piglio di chi torna da una lunga assenza, perde il diritto alla familiarità e vive dinamiche vecchie, non più aggiornate, con protagonisti ormai relegati al ruolo di comprimari. Insistere con la costruzione dal basso è una di queste: urge la sintesi degli ultimi mesi laziali per garantirgli il ritorno alla titolarità. Il voto si abbassa perché sul primo gol bolognese si dimentica la linea difensiva e sul secondo si dimentica… Zirkzee!)

Lazzari – 5.5: La probabilità statistica ha oggi restituito la combinazione per cui il campo lo premia come numero e non come funzione di gioco – che si sviluppa di più sulla sinistra. Manca la capacità di incidere positivamente sulla destra, di scodellare un cross efficace, tanto che viene più spesso fermato dagli assoli di Felipe Anderson (che capisce presto di dover fare tutto da solo) che dagli avversari. (Al 77’ Pellegrini – 5.5: L’insufficienza è di squadra, è di tempo per cambiar le sorti della sua prestazione, è di reazione per chi siede, spesso ingiustamente, in panchina. Entra nel momento peggiore della Lazio, vede la sua squadra in svantaggio, non può far nulla per rimediare agli errori dei suoi predecessori – Sarri incluso)

Guendouzi – 6: Dopo l’agilità atletica e la velocità di corsa, finalmente c’è anche la velocità di pensiero e di gioco. Già valorizzato come miglior acquisto della Lazio di questa stagione, conferma di essere anche il miglior giocatore del centrocampo biancazzurro. Spregiudicato nella sua rapidità, pienamente consapevole della libertà di movimento e azione, approfitta del suo dinamismo per tentare di scardinare la retroguardia bolognese particolarmente compatta dopo il pareggio raggiunto.

Cataldi – 5.5: Di necessità, virtù: gli vien bene l’essere uomo di congiunzione tra difesa e centrocampo e il ruolo gli concede un certo brillio. Efficace quando la Lazio è in vantaggio, meno utile quando c’è da lottare per strappare tre punti fondamentali per la corsa Champions. Senza nessuno a poter prendere il suo posto, il periodo ipotetico della contrapposizione non avrà mai riscontro. La Lazio si tiene inutilmente quel che fa: poche verticalizzazioni e tanto ordine tra i reparti.

Luis Alberto – 5: Tutto racchiuso nel concetto di “in”: in-dietro, come il retropassaggio della discordia per Provedel; in-dimenticabile, come la dimenticabile prestazione di oggi fatta di errori indimenticabili; in-panchina, come il luogo che dovrebbe accoglierlo durante la riscoperta delle sue doti calcistiche. In-gestibile. (Dal 77’ Kamada – 5: Non fa davvero nulla per impensierire Sarri, gli avversari, il rinnovo condizionale. Non fa nulla neppure per impensierire i tifosi, che del suo pensiero attendono solo si trasformi in (brutto) ricordo.)

Isaksen – 7: Corri, ragazzo corri e sogna, ragazzo sogna e fa’ sognare anche il popolo biancazzurro, che alterna ormai rare veglie europee a ricorrenti incubi di campionato. La sua vitalità, culminata nella corsa sotto la curva per festeggiare il gol del momentaneo vantaggio, è il cibo domenicale che nutre, durante il lunch match, lo spirito. Poi il digiuno, quello vero e metaforico, che inizia dalla sua sostituzione e termina in una Lazio di nuovo privata della sazietà dei tre punti. (Dal 65’ Pedro – 5.5: Cambio contenitivo, in una lettura che avrebbe dovuto fare dell’esperienza il valore aggiunto della Lazio. Purtroppo, però, l’usato sicuro è diventato usurato-sicuro: Pedro non aggiunge nulla alla manovra offensiva, che si fa, ad ogni minuto giocato, più lenta, compassata e prevedibile.)

Immobile – 6: Tre cose rendono Immobile l’uomo simbolo di questa Lazio: il passaggio a Isaksen, il gesto di estrema generosità e il figurato passaggio di responsabilità alla nuova generazione; la corsa sotto la Nord, per amoreggiare con i tifosi ogni volta possibile prima dell’inevitabile separazione; i due errori che hanno impedito un vantaggio netto che, col senno di poi, avrebbe creato una condizione di gioco diversa. Ma se si guarda troppo al passato, si tengono le spalle voltate al futuro. (Dal 65’ Castellanos – 5: Il castello del suo cognome è costruito di sabbia e troppo a riva, abbattuto da qualsiasi onda. Avrebbe dovuto spostarsi, cambiare posizione, avrebbe dovuto espandersi e conquistare il territorio circostante, difendersi dalle pedate degli avventori che popolano l’ultima spiaggia della Lazio.)

Felipe Anderson – 6: Per un primo tempo giocato molto bene, mostrando gli antichi fasti del nome e del ruolo, c’è un secondo tempo di stenti, di decadimento e di affanni. La sintesi della condizione Lazio: regge metà del tempo, crogiolandosi di una rendita che è davvero finita e decantando un’apparenza ormai antica. E i creditori sono alle porte.

All. Sarri – 5.5: Non è la malattia, aggravata da formazione e cambi obbligati – tra assenze e infortuni. Ma parte dei sintomi, quelli che diagnosticano una Lazio in crisi ma di obiettivi, affetta da un disturbo che esplode nella banalità della domenica di campionato e di una classifica ormai irrecuperabile.






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