di Arianna MICHETTONI (foto © Antonio FRAIOLI)

Provedel – 6: Nulla può la febbre, né tantomeno la tonsillite: sua è la titolarità, sua è la difesa ultima di una squadra che di difese non ne ha più. Fa resistenza a Furuhashi, annullandolo e volgendo a suo favore i tipici insegnamenti giapponesi: silenzio e precisione.
Lazzari – 6.5: Infiamma la fascia destra, lasciando più volte sul posto l’avversario. Se riuscisse a lanciar in velocità anche la precisione nel cross, la Lazio faticherebbe molto meno nel trovare le giuste occasioni da gol. Il dinamismo c’è, manca l’ordine nel popolare gli spazi e la capacità di finalizzare le aperture.
Gila – 6: Svolge il compito ricalcando in bella i suggerimenti bisbigliati da Patric. È tuttavia sempre attento e partecipe della manovra difensiva, dimostrando di meritare l’occasione. Si distingue per una quasi eleganza nei contrasti, che trasforma in tocchi puliti sul pallone. Da gregario a valore aggiunto.
Patric – 6.5: Leader carismatico per necessità e, soprattutto, per virtù. Affianca Gila smorzandogli la tensione-Champions, sopperisce alle mancanze difensive di Marusic e Lazzari ed è l’ultimo uomo ad impedire il gol-beffa scozzese. La sintesi della sua partita sta nei ripetuti batti cinque scambiati con Provedel, massima intesa tra due giocatori che hanno, sulle spalle, il peso dell’intera squadra. Finale thriller che aggiunge spettacolo allo spettacolo – gli si perdona tutto, anche il rigore che non c’era.
Marusic – 6: Colpi di testa reali e figurativi, quelli con cui contrasta il (poco) gioco aereo del Celtic e quelli che mandano in porta Felipe Anderson. L’effetto collaterale sta in un’eccessiva sicurezza dei propri mezzi, tale da convincersi a tentare il tiro dalla lunga distanza. Lui può comunque provarci, è la Lazio che dovrebbe riuscirci.
Guendouzi – 5.5: L’inizio è tutta bontà: generoso nei movimenti e nel servire i compagni di reparto, partecipe all’interno di un centrocampo che pare essere maggiormente identitario e bilanciato. Cala quando, da oggetto misterioso e sfuggente, subisce i raddoppi di un Celtic arrembante e in migliore condizione fisica. Al solito buone intuizioni, che mancano di concretezza. L’essere costretto alla titolarità non giova al suo percorso di crescita, e anzi evidenzia i limiti (non caratteriali, ma tecnici) che ingrigiscono le sue prestazioni.
Rovella – 6: Prima frazione di gioco decisamente buona, che fa media con una ripresa sottotono per ritmi e letture di gioco. Non un potenziale esplosivo, quanto piuttosto un conto alla rovescia interrotto e fissato a un evento che avrebbe potuto essere, ma non sarà – non ancora, almeno. Si rifugia in orizzontalità prive di senso, appesantendo la già lenta (e sterile) manovra biancazzurra. (dal 78’ Cataldi – 6: Entra per ridurre la distanza tra i reparti e far dialogare meglio le linee di gioco, ridotte – prima del suo ingresso – a uno sterile possesso palla. Fa il suo dovere con compostezza, riducendo al minimo i rischi scozzesi e favorendo l’ordine verticale.)
Luis Alberto – 5.5: A lui si chiede di essere l’uomo del destino. Colui che decide le sorti laziali, belle o brutte che siano: sono brutte oggi, ieri, già da un po’. Se Luis è assente, la Lazio è assente e se Luis non gira, la Lazio non gira. Si rifugia in una complessità che non gli appartiene, sbagliando i più semplici degli appoggi e impedendo di lanciare a rete Castellanos prima e Immobile poi. E quando tocca a lui, in corsa plastica e col tempo sospeso, lancia alto sopra la traversa. (Dall’84’ Kamada – SV, ma in campo per celebrare
Isaksen – 7: Il ragazzo si farà: perché è sfrontato, perché libero dal peso di dover fare bene per forza, per gli altri, perché gioca il suo calcio e salta gli avversari con il piglio menefreghista della giovane età e della forza fisica. L’ostinata panchina è un mistero sarriano, che si svela quando – di nuovo, da solo, e da solo credendoci – lancia Immobile a rete e i laziali nello spazio compreso tra l’esultanza e lo sfogo. Essenziale.
Castellanos – 6: Scelto a sorpresa da Sarri, scende in campo quando c’è da risolvere l’indovinello insito nel pessimismo della vigilia. Non è il suo calcio, e quale sia il suo calcio è ancora da capire. La fisicità agita in campo porta via gli avversari ma non apre spazi per i compagni, di cui non sostiene la manovra. Fa fatica ancora negli inserimenti, fa fatica ancora a viversi l’istinto del gol. Deve comunque andare, prima di lasciarsi andare. (Dal 61’ Immobile – 8: Stella di una serata-nostalgia, che – a esultanza finita – aumenta il rammarico per le occasioni sprecate. Meteora o Cometa, la sua scia luminosa squarcia il buio dell’Olimpico e irradia calore in una serata il cui gelo è ora solo climatico. Abbracciato da tutti: compagni, tifosi, ambiente – lo stesso che osteggia la crescita della Lazio.)
Felipe Anderson – 5.5: Fastidioso negli errori e negli sbagli che lampeggiano nella cifra discussa per il rinnovo. La fase contenitiva è indubbiamente utile a una squadra che ha soprattutto bisogno di trovar equilibrio e sostenibilità calcistica, ma spegne qualsiasi velleità offensiva – dal salto dell’uomo, al dribbling, allo scatto in velocità. Pare non gli riesca più nulla, neanche il più semplice dei palleggi – figurarsi gli inserimenti sui tagli di Isaksen. (Dal 61’ Pedro – 6: La Champions è decisamente la sua competizione, la sua dimensione. Vive queste partite in un misto di consapevolezza ed esperienza, uno stato di grazia di cui beneficia una Lazio che cerca disperatamente – e in sua presenza trova rabbiosamente – la vittoria. Il minutaggio è giusto: la freschezza degli ultimi minuti impatta maestosamente contro la stanchezza, la fatica e l’accumulo di tensione altrui.)
All. Sarri – 6: La vittoria in Champions – e il, tutto sommato, buon cammino europeo – non tacciono gli interrogativi che circondano la sua squadra: è forte, è debole? È all’altezza del Celtic, non all’altezza della Salernitana? Sta sacrificando il campionato per quell’urlo da brividi, che suggella l’inno della massima competizione europea? Dove sta il problema, conscio o inconscio? Soprattutto: perché solo stasera Isaksen è stato lanciato titolare? Credere nella potenzialità propria e altrui sembra essere il rovescio di una lettura forse semplicistica, sicuramente banale, ma che non riesce a discostarsi dalla realtà dei fatti: una Lazio incazzata è una Lazio motivata. Bene proseguire, allora, sulla strada delle scelte difficili ma non obbligate. Alla ricerca di una coerenza che porti alla risalita anche in Serie A.

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