Negli studi di Radiosei è stato ospite Marco Parolo, ex centrocampista della Lazio e oggi opinionista di Dazn, insieme al collega Marco Cattaneo con cui ha scritto il libro ‘Quando Giochi‘, presentato ieri e oggi raccontando ai microfoni della nota emittente romana. Tanti i temi trattati: da Napoli-Lazio che regalò la qualificazione in Champions al rapporto con gli ex compagni alla Lazio, passando per le sue qualità di leader.




Ricordo la prima volta che sono tornato come opinionista per Dazn. Entro all’Olimpico e la gente si alza in piedi per applaudirmi. Io non li avevo mai salutati, perché con Senad avevamo finito con il Covid e quindi gli stadi erano vuoti. Sono uno che fa fatica a commuoversi, ma in quell’occasione mi sono emozionato, la spontaneità dei tifosi mi ha colpito. Mi ricordo le prime parole che ho sentito quando sono arrivato alla Lazio, non eravamo partiti benissimo e incontrai un laziale in un negozio che mi disse che dovevo dare di più, perché qua si ricordano sempre di chi si sacrifica per la maglia”.

“Napoli-Lazio del 2015 fu infinita. Dopo il gol, nel secondo tempo mi feci buttare fuori ma pochi sanno il motivo. A inizio secondo tempo mi si era rotto lo scarpino destro, erano partiti i lacci e io avevo mandato un magazziniere a prendere un altro paio di scarpini, ma al San Paolo per arrivare negli spogliatoi dovevi fare un giro lunghissimo. Nel frattempo io faccio un fallo su Callejon in ripartenza e vengo ammonito, loro segnano il 2-1 e poco dopo uscendo in pressione su Dzemaili freno tardi, lui mi salta e il piede non mi regge, secondo giallo e rosso. Ero imbestialito, entro nello spogliatoio, lancio le scarpe e mi metto seduto in un angolino a vedere la partita in tv, senza andare in tribuna, Higuain aveva appena pareggiato. Quando fischiano il rigore a Napoli mi crolla il mondo addosso, dopo aver segnato ero stato espulso. Tutte le volte che mi vedo con i magazzinieri ci ripensiamo.”

Negli anni si crea un gruppo di rapporti. Penso a Radu, Senad, Mauri. Quest’ultimo mi ha insegnato come si gestiscono certe dinamiche nello spogliatoio, come far sì che tutti vadano d’accordo. Ognuno aveva i propri ruoli: Lulic era leader in campo, io dovevo gestire altre cose. Nascono dei rapporti, dei legami, anche per mezzo di scherzi e discussioni. Ricordo la storia di Caicedo. Sbaglia due gol a Crotone, lo volevano mandare via tutti. Ricordo che in ritiro che noi ci esponiamo per tenere Caicedo, preferivamo lui piuttosto che un altro, perché si allenava bene, era gradevole nello spogliatoio e aveva capito che davanti aveva Ciro Immobile, poteva così convivere con questo ruolo. Alzava il livello dell’allenamento e la competizione. Lucas Leiva era una certezza, portò esperienza internazionale nello spogliatoio, come fece Klose prima. Miro è stato un altro esempio. Era un giocatore fortissimo a livello mentale, oltre che calcistico. Un anno siamo stati in quattro a segnare dieci gol, lui, io, Felipe Anderson e Candreva, ma solo grazie ai suoi movimenti”.






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