di Claudio CHIARINI

Un anno fa, nella sua prima stagione sulla panchina della Roma, Josè Mourinho vinceva la Conference League, quella che Zdenek Zeman aveva genialmente definito “la Coppa dei paesi calcisticamente sottosviluppati”. E questa vittoria veniva vissuta come vero e proprio trionfo dal popolo giallorosso, che poteva finalmente togliere le copiose ragnatele che ormai avvolgevano i piccioni abbattuti dai rigori di Graziani, De Rossi e Tonetto rispettivamente contro Liverpool (1984), Manchester United (2008) e Arsenal (2009).




Finalmente l’onda lunga delle vittorie ottenute da Mou nelle sue precedenti cinque finali di coppa (in Coppa Uefa nel 2003, Celtic – Porto 2-3 dts; in Champions League nel 2004, Monaco – Porto 0-3; ancora in Champions League nel 2010, Bayern – Inter 0-2; in Europa League nel 2017, Ajax – Manchester United 0-2 e infine, appunto, in Conference League nel 2022, Roma – Feyenoord 1-0), pareva aver interrotto definitivamente la nefasta tradizione romanista nelle finali.

Il rocambolesco approdo alla sfida col Siviglia, con in palio l’Europa League, una coppa seria, una coppa vera, e non una coppetta, aveva gasato il popolo giallorosso che in 53 mila, oltre i 25 mila recatisi a Budapest, aveva assiepato gli spalti dell’Olimpico, pagando addirittura 20 euro il biglietto (quando certi eventi solitamente sono gratuiti) per gridare che “me fa sentì importante pure se nun conto gnente” come canta Antonello Venditti nell’inno della Roma, col sogno, avallato dalle previsioni degli addetti ai lavori italiani, di vivere l’orgia del festeggiamento collettivo, la celebrazione del primo vero trofeo europeo giallorosso.
Ma il karma delle finali perse, probabilmente riattivato anche dalle recentissime, grandiose, celebrazioni biancazzurre del decennale del 26 maggio 2013 per la #Coppainfaccia, evidentemente ha contagiato anche lo Specialone.

Infatti, dinanzi all’integrità e fermezza dell’arbitro inglese Anthony Taylor, non sono bastati alla Roma i soliti trucchetti, gli accerchiamenti, le proteste violente e reiterate, i tuffi, le simulazioni, che hanno caratterizzato il non gioco del Mourinho giallorosso, per venire a capo di un’avversaria che, rispetto alla doppia sfida di semifinale contro la Juventus, ha giocato persino sotto tono questa finale, meritando tuttavia la vittoria ai rigori.

Dopo la sconfitta è esplosa tutta la rabbia del Mou, evidentemente bisognoso di placare l’enorme frustrazione provocatagli dalla sconfitta, il quale alla premiazione getta rabbiosamente la medaglia del secondo posto sugli spalti assiepati da tifosi giallorossi piangenti e poi, come mostra chiaramente un video pubblicato in internet, nel parcheggio sotterraneo della Puskas Arena di Budapest, viene immortalato mentre fa vedere un video sul telefonino al presidente della Commissione Arbitri della UEFA, Roberto Rosetti, che tenta invano di calmarlo, e poi, dopo che l’ex fischietto italiano si è defilato, si aggira solitario, trasandato e sempre più frustrato, imprecando contro il direttore di gara inglese, urlacchiando più volte “Is a fucking disgace, man” poi, in italiano, continuando a camminare senza meta, come una scimmia in gabbia: “Anche Rosetti è stato capace di dire che non era e tu non sei stato capace”, evidentemente riferendosi al penalty concesso da Taylor agli spagnoli e poi tolto con l’ausilio della Var per il contrasto tra Ibanez e Ocampos. E ancora, stavolta avvicinandosi al pulmino dei direttori di gara: “Non hanno puta vergogna nella puta faccia”. Infine Josè, tra un “fuck” e l’altro, finalmente si allontana dal pulmino che mette in moto per abbandonare la pancia dello Stadio Ungherese.
Mourinho, inchiodato dal video, ora rischia come minimo, multa e squalifica. Ma quel che balza ancor di più agli occhi, e che durante questa per lui disgraziata stagione calcistica è apparsa sempre più evidente, è la metamorfosi subita dall’allenatore portoghese: da SpecialOne a RosicOne.

C’è però una ulteriore riflessione che sgorga spontanea osservando stupefatti il comportamento e le scomposte reazioni del povero Josè: quando si assiste a certi penosi spettacoli a vertici così alti di fama, di guadagni, di possibilità, che la stragrande maggioranza delle persone neppure sogna, si evidenzia qualcosa di irrimediabilmente irrealizzato, motivo per cui certe scenate infantili fanno gridare ancora di più che “Il Re è nudo!”
Vergogna per il calcio mondiale che, sulla carta e a chiacchiere tanto lotta e si spende per il fair play, finanziario e non, quando colui che dai più è considerato un simbolo, un supposto rappresentante di qualche valore, si mostra proprio per quello che è: l’uomo di strada che, impotente e rabbioso, urla parolacce intrappolato nel traffico intasato di Roma Caput Mundi.






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