di Fabio BELLI

Il significato come fondamentalità. La fondamentalità come uso.” Quando David Foster Wallace ha scritto il suo primo romanzo, “La scopa del sistema“, ha utilizzato questo titolo partendo dalla logica illustrata nella seguente scena: si cita la bisnonna della protagonista, Lenore Beadsman, seguace di Ludwig Wittgenstein, filosofo del linguaggio tra i più grandi di sempre nella materia. E che amava mettere alla prova la logica della nipotina con “la scena della scopa“. Prendeva l’oggetto in questione e chiedeva: qual è la parte più importante? E la piccola si arrovellava, setole o manico, manico o setole? Alla fine Lenore rispondeva: “La parte più importante di una scopa sono le setole, perché puoi spazzare lo stesso, anche se con fatica, anche se c’è solo la chioma della scopa e non il manico“. E la bisnonna: “Questo perché dai per scontato che una scopa serva solo per scopare: se sei bloccata in una stanza, la porta non si apre e la finestra nemmeno e hai a disposizione solo una scopa, qual è la parte più importante di questo oggetto?“.

A questo punto ci siamo arrivati anche noi, il manico diventa più importante della chioma, se una scopa non ti serve a spazzare ma a rompere una finestra. Il significato come fondamentalità. La fondamentalità come uso. Il valore di un oggetto non è dato dall’oggetto in sé, ma dall’utilizzo possibile nel contesto, dalla sua funzione. Non sappiamo se Maurizio Sarri sia un discepolo di Wittgenstein ma sicuramente ha interpretato il derby e in generale la settimana che ha portato alla stracittadina con l’idea chiara di quale fosse l’obiettivo da perseguire. Mentre Mourinho alzava, spazzando in tutti gli angoli, il solito polverone della provocazione, spesso cadendo nell’infantilismo puro, Sarri passava attraverso la Conference League e le polemiche senza perdere l’obiettivo finale: se gli hanno dato una scopa in mano, a lui serve per rompere il vetro della finestra che affaccia sulla Champions.

La scelta nel corso della stagione è apparsa evidente, ma lo è stata ancora di più nel vedere come i calciatori sono scesi in campo in una partita buttata in rissa dagli avversari non solo dall’inizio alla fine, ma anche oltre, con calciatori nudi e frasi da “chetteguardi” che ci riportano ai tempi dell’Arabesk e dei coatti del sabato sera (e meno male che Mourinho è ancora troppo portoghese per imparare “imbruttire“, tanto per continuare a parlare di filosofia del linguaggio).

Essere punzecchiati stavolta è diventata un’arma, mai la squadra è stata un corpo e un’anima con la tifoseria come in questo derby, tanto che le frasi di risposta di Luis Alberto e Romagnoli sono quelle pensate da tutti, finalmente portate alla luce da giocatori che a farsi prendere in giro non ci tenevano neanche un po’.

Sarri, lui no: lui è la scopa del sistema, il fine non è il derby in sé quanto la Champions. Lo ha messo in luce subito, il ragionamento è lucido per quando si possa ripetere a pappagallo il mantra della rosa corta. Con altri due anni di contratto a disposizione, il tecnico è nel mezzo del progetto: per avere la squadra che dice lui, costruita come vuole lui, ci vogliono più soldi. Per avere più soldi ci vuole la Champions, per costruire una squadra che magari subirà lezioni al massimo livello dalle corazzate europee, ma avrà a disposizione giocatori di maggior livello e più alternative per aumentare il peso specifico in campionato.

È un piano che non è destinato al 100% a funzionare, ma è un piano e Sarri in realtà lo ha ribadito più e più volte anche pubblicamente, parlando dei vantaggi che i soldi della Champions offrono (vantaggi economici, non risultati sportivi che sono alla mercé di 1000 fattori, sia chiaro) a chi vi partecipa con continuità. E per ottenere l’obiettivo bisogna vincere partite come quella di ieri, in cui la squadra tiene testa a un avversario che crede che provocare, stuzzicare e alzare i toni sia sempre un vantaggio. Pensavano di trovare setole, hanno incontrato bastoni.

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