di Fabio BELLI

Ho incontrato il signor numero otto
Gli ho detto se ti allunghi a terra
Diventi l’infinito
E poi sarò frainteso
Mi ha risposto
Sono solo il numero otto
Questo è il mio posto
Per paura di essere incompreso
Il numero otto ha perso tutto il suo peso




Alzi la mano chi alla fine di un derby così intenso non ha pensato, anche solo per un attimo, alle parole di Maurizio Sarri su Felipe Anderson alla vigilia. Una conferenza stampa che è stata più una lectio magistralis del tecnico toscano, ma alle parole, si sa, nel calcio devono corrispondere i fatti. Col senno di poi, se il tecnico dell’altra squadra avesse individuato con tale lucidità il protagonista della partita, oggi ascolteremmo sermoni sulle capacità da motivatore e da immenso stratega del mister portoghese.

Cos’è accaduto invece dall’altra parte? Sarri aveva detto: “Io vi posso dire una cosa, ho allenato tanti giocatori forti, ma uno potenzialmente forte come Felipe l’ho allenato raramente. Ha doti straordinarie, le ha tirate fuori in piccola parte. Deve avere una crescita nella convinzione e nella cattiveria, perché veramente altrimenti è uno spreco di talento. Lui può essere un crack a livello internazionale”. E viene da fare il parallelismo con il numero 8, anche se non è quello di Felipe, bensì quello cantato da uno dei gruppi migliori e più sottovalutati della scena italiana, i Management (allora ancora “del dolore post-operatorio”) di Lanciano. Il numero 8 non è consapevole delle sue potenzialità, se si allungasse a terra, se avesse il coraggio di osare, se credesse davvero al 100% nelle sue potenzialità, diventerebbe infinito. Felipe Anderson ha mai avuto questo coraggio? Cosa gli ha impedito di credere fino in fondo in sé stesso?

“I gabbiani volano sul mare
E i gabbiani volano sulla discarica, amore
Questa è la vita
È chiaro, adesso l’hai capita?

Felipe Anderson è il numero 8 della canzone, troppo spesso abituato a stare tra il 7 e il 9, al suo posto, quasi senza voler disturbare, senza capire che l’infinito è a sua disposizione. Solo, sulla panca dello spogliatoio, ultimo a entrare in campo in un derby che era tutto per la squadra ma che cercava un protagonista. E stavolta lui ha risposto, dal cross pennellato sulla testa di Milinkovic alle accelerazioni inarrestabili, fino a quel gol che è valso come una liberazione non solo per tutto il popolo Laziale ma soprattutto per lui che nelle ultime due stagioni era scivolato ai margini, quasi a temere di essere un ex giocatore. La vita non è solo champagne: chi ha la capacità di volare a volte può farlo sul mare, altre volte è costretto a farlo sulle discariche, in cerca di qualcosa per sopravvivere.

E allora che questo derby capolavoro sia una ripartenza, sia qualcosa di più di un volo sul mare prima di tornare nella discarica dei dubbi. E a Felipe non manchi il sostegno della sua gente, i tifosi della Lazio che sono stati gli unici ad adottare una personalità complessa, fotografia precisa del genio e sregolatezza che spesso anima il calcio. Ci vorrà pazienza, ci saranno altri momenti bui, ma alla fine potrà nascere qualcosa di meraviglioso.

D’altronde, “La perla è una malattia dell’ostrica“.






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