di Arianna MICHETTONI

Scemo chi legge – che è una provocazione, un’idea rivoluzionaria o la sostanziale verità: scemo chi legge, appunto. Perché di seguito non troverà il compendio delle virtù, che è un po’ come un elogio alle frasi fatte – il razzismo è sbagliato, sempre, sul serio? A pensarci prima.




Già, a pensarci prima. A questa Curva Nord che, per gli attenti uditori – quelli che la partita non la guardano, no, la ascoltano – è fatta di avanzi della civiltà, scarti (dis)umani, sottoprodotti di una cultura del tifo che troppo spesso, in passato, ha cercato di dividere e non di unire. E, di nuovo, a pensarci prima a questa Curva Nord che ora è sì divisa, se non nell’ideale colore da sostenere, nella linea immaginaria – come quando si era a scuola – che schiera e differenzia i buoni e i cattivi, gli innamorati e i disamorati, i razzisti dai non-razzisti.




A pensarci prima, insomma, di appiccicare una pruriginosa etichetta che ha trame e rovesci di un’attenzione morbosa: una realtà ingigantita e distorta, soprattutto; un concetto in ultimo estrapolato dalla concitazione del momento, quel momento in cui il giocatore avversario ha la palla e al sostenitore sugli spalti proprio non va giù e cerca di scoraggiarlo, di indurlo all’errore, di distrarlo. Come, però? Con degli ululati – così dicono.




Scemo chi legge e chi ha già letto fin qui: si potrebbe tentare una chiusa perfetta demonizzando e ammonendo severamente il diverso da me – facendo razzismo, circostanza infame – e garantendosi l’immunità benpensante: quella che basta battersi il pugno in petto e tutte le scorie di cattiveria cadono via, scosse dalle vibrazioni della giustizia. Che a pensar male si fa peccato, è vero, ma pensare è ciò che distingue l’uomo dalla scimmia – non a caso, la scimmia: un simbolo del razzismo. Chi è razzista, chi è diverso, diverso da chi? Qual è l’elemento migliore tra coloro i quali trascorrono la domenica – se si può, quando si può – sugli spalti, qual è l’elemento di merito a loro assegnato – il silenzio? O, meglio ancora, l’omertà?




Razzismo, prima ancora di brutto concetto, è una brutta parola: cacofonica, nella doppia zeta che segue la dura erre iniziale. È un tranello vocale, uno sgambetto lessicale e di metodo: pure nella generalizzazione vi è una sorta di essenza all’esclusione selettiva. Chi ulula vince su chi canta quale esempio di sconfitta della democrazia (neanche a dirlo, una delle forme contrarie al razzismo); chi ulula ha un potere smisurato, autoritario, totale (neanche a dirlo, una delle forme prossime al razzismo).




Scemo chi legge, in conclusione: non c’è più nulla da leggere. C’è da agire, c’è da applaudire al buon esempio, al risveglio delle coscienze, ché per ogni parola scritta c’è un’azione mancata e una posizione non presa – un pensiero in meno dedicato al motto la Lazio, e i suoi tifosi, sono stati danneggiati.






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