di Marta MICHELI

Circa un mese fa abbiamo pubblicato la ricostruzione della vita di Alberto Mesones, che tutti avevano dato per morto negli anni Cinquanta e sepolto presso il cimitero del Verano.




Abbiamo invece scoperto che, dopo aver dimorato per quasi un anno a Londra tra il 1923 e il 1924, era ritornato in Sudafrica a svolgere la sua attività di cacciatore professionista.
E qui era ancora in vita il 29 ottobre 1969, quando aveva sottoscritto la dichiarazione di morte della moglie Elsie (Elsa), che in precedenza aveva sposato il fratello di Alberto, Leon, scomparso il 7 settembre 1964 negli Stati Uniti.

E ci eravamo lasciati con un dubbio circa l’effettiva data di morte di Mesones, perché, sebbene le ricerche e gli approfondimenti portavano a ritenere che fosse morto, addirittura ultracentenario, nell’ottobre del 1982, non eravamo ancora in possesso della documentazione che potesse attestarlo inconfutabilmente. Si, perché la storia va raccontata ma deve essere puntualmente documentata, altrimenti resta carta straccia.




Bene, il Centro Studi Nove Gennaio Millenovecento ha chiuso un altro cerchio, archiviando l’ennesimo capitolo della saga biancoceleste. Si, perché Alberto Mesones, uno dei nove ragazzi di Piazza della Libertà, uno dei fondatori, morì a Pretoria il 31 ottobre del 1982 a quasi centouno anni di età. Fece in tempo, insomma, ad assistere, sia pure dall’altra parte del globo, al successo dell’Italia Mundial di Bearzot, magari relazionato – ci piace crederlo, romantici come siamo – all’inizio del campionato della Lazio che sarebbe poi coinciso con il ritorno in Serie A.

Siamo entrati in possesso del suo certificato di morte che, puntualmente, alleghiamo. Il documento conferma che Alberto aveva acquisito la cittadinanza sudafricana, non aveva avuto figli e aveva trascorso l’ultimo segmento della sua vita avventurosa nella casa di riposo per anziani Mothwa Haven Old Age, della quale siamo in grado di mostrare una recente fotografia.




E dove riposa la sua salma, chiederete? Nel cimitero di Zandfontein, a Pretoria.
Grazie al Signor Giuseppe, che è stato così cortese da inviarci la fotografia della tomba, siamo venuti a conoscenza di alcuni particolari della vita di Mesones.
Alberto aveva due amici carissimi, Armando (padre di Giuseppe) e Paolo, che oggi ha 97 anni e una memoria di ferro.

Quest’ultimo ricorda che Mesones si trasferì dapprima dall’Italia in Argentina, dove si occupava della vendita e del trasporto di limoni in Sudafrica.
E noi abbiamo trovato diversi documenti che testimoniano che il fratello di Alberto, Leon Mesones, dopo essersi stabilito negli Stati Uniti con la moglie Elsie (Elsa) e aver acquisito la cittadinanza, effettuò numerosi viaggi in Argentina ed Uruguay.
Ma ad Alberto, evidentemente, non piaceva la vita in Argentina, tanto che ad un certo punto, si imbarcò su una nave che trasportava limoni e iniziò una nuova parentesi della sua vita in Sudafrica, tra Pretoria e Johannesburg, dove vendeva stoffe ai sarti.




A Pretoria, Mesones prese inizialmente in affitto una stanza in un appartamento abitato da Italiani. In quel contesto conobbe Armando e Paolo e i tre divennero molto amici.
Giuseppe e Paolo ci hanno confermato che Mesones sposò in prime nozze una donna di origini slave, che gestiva una rivendita di Fish & Chips. Si chiamava Marie ed era nata a Konice, in Moravia (nell’attuale Repubblica Ceca), come si evince dal suo certificato di morte (anch’esso allegato), dal quale emerge anche che venne a mancare l’11 giugno 1950, quando aveva 57 anni) e che aveva divorziato da Mesones.

Paolo ricorda ancora nitidamente che Mesones aveva la passione per la caccia e per lo studio dell’astronomia, che gli piaceva giocare a carte e che amava molto lo sport: sebbene a quei tempi, in Sudafrica, non vi fosse ancora la televisione, pare che Alberto parlasse spesso del calciatore Meazza, che a suo parere era il miglior giocatore del mondo.




Una ricerca iniziata mesi fa, oggi portata a compimento dopo notti insonni, congetture, supposizioni, ipotesi. Che adesso hanno trovato la loro definitiva consacrazione. Anche per il determinante contributo fornito per la conclusione della ricerca dall’amico Angelo Franzè. Un gioco di squadra, appunto. Con la storia della Lazio che, da oggi, ha un quiz in meno da risolvere…

(fonte: centro studi nove gennaio millenovecento)




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