di Fabio BELLI
Miro Klose: a tu per tu con il mito. Oppure, se scrivessimo su Vice, questo pezzo inizierebbe così: “Siamo stati a San Marino per scoprire la nuova vita di Miro Klose”. Noi che siamo personcine oneste, ammettiamo che siamo andati sopra al Titano anche per lui: ma a Laziostory solo del ritorno in Italia del mito può interessare in maniera sensata.
Nel “San Marino Stadium” tirato a lucido, gioiellino che per la prima volta nella storia ospitava una squadra campione del mondo in carica, trovarsi a cercare con gli occhi quello che è stato un costante riferimento delle domeniche degli ultimi 4 anni può lasciare una sensazione strana. Il rapporto col “bomber”, per un tifoso, d’altronde è quello che meglio caratterizza il rapporto con la squadra del cuore. Se Beppe Signori ci ha cresciuto, Miro ci ha svezzato e regalato un’ultima spruzzata di “grandeur” cragnottiana, perché giocatori della sua statura tecnica e morale mancavano da quegli anni lì. E vederlo, subito dopo aver chiuso con il calcio, chiamato come punto di riferimento dalla Nazionale che anche grazie ai suoi gol appena due anni fa è salita in cima al mondo, regala l’esatta idea della portata del mito di cui sopra. E anche un pizzico di malinconia, visto che qualcuno sognava di vederlo uomo immagine, punto di riferimento in una Lazio che, si è visto in estate, ne aveva un disperato bisogno tanto da aggrapparsi poi all’esperienza di Simone Inzaghi ed Angelo Peruzzi per uscire indenne dal ciclone-Bielsa. Invece, su quel rapporto che aveva regalato sogni, speranze e nuova luce ai tifosi laziali è calata una notte inaspettata proprio nel maggio scorso, proprio in quel Miro-Day in cui dopo una stagione distastrosa i laziali non hanno dimenticato di tributargli un saluto.
Sotto il monte Titano, nella conferenza stampa pre-partita, si è presentato così. ”Sono felice di fare parte di questa grande famiglia che è per me la Nazionale tedesca. E’ un’esperienza che può insegnarmi tanto, non tutti hanno la possibilità di lavorare subito in Nazionale. Ci ho pensato spesso, durante il mio ultimo periodo da calciatore, studiavo tattiche e mi sono fatto domande sul mio futuro per capire come avrei potuto continuare la mia carriera. La domanda è stata: “In che ruolo mi vedo nel futuro?” Ho fatto questa scelta ed è un grande onore aver ricevuto questo incarico.”
Uno stile che alla Lazio era stato facile apprezzare sin da quel primo gol realizzato al Milan nella prima partita giocata, nel settembre del 2011. Poco più di un mese dopo, la rete nel derby che è rimasta tra le più importanti, sentite e spettacolari realizzate dalla Lazio nella stracittadina. E il 26 maggio? Tutti a festeggiare ma con Klose sempre sullo sfondo, a ricordare che quella Lazio non era solo un gruppo di giovani di talento, ma aveva un campione che ricordava i tempi in cui, con Veron, Salas, Nedved, Nesta, Crespo, Mihajlovic, Mancini e chi più ne ha pià ne metta, tutto sembrava possibile. Vederlo lì in panchina è stato strano, incrociarlo e salutarlo ancor di più: poi idealmente ognuno per la sua strada, la notte calata, la Germania da una parte e la Lazio dall’altra. Chissà se poteva finire diversamente, ma che bello che sia andata comunque così.
“Nè vincitori nè vinti
si esce sconfitti a metà:
La vita può allontanarci,
L’amore continuerà”