Ai microfoni di Lazio Style Channel, l’ex difensore portoghese Fernando Couto (campione d’Italia del 2000 in biancazzurro) ha ripercorso la sua avventura in biancazzurro a tutto tondo: dal valore dei singoli giocatori al legame con lo spogliatoio, fino alla decisione di proseguire la sua carriera nella Capitale.




Non avrei immaginato che sarei rimasto 7 anni alla Lazio. Mi sono divertito tantissimo, ho giocato con cuore e anima. Abbiamo vinto trofei importanti, sono contento di aver fatto parte della storia della Lazio. I due momenti più iconici? Lo Scudetto è la parte più importante, l’anno prima lo aveva perso in modo particolare. Vincerlo l’anno dopo in quel modo è la cosa più emozionante. Ho vinto ovunque, i trofei sono sempre importanti, sono uno a cui piace vincere anche nella vita, ma qui ho vissuto dei momenti davvero importanti e intensi. Penso che il percorso sia la cosa più emozionante, anche più del trofeo. Per arrivare a un traguardo devi pensare a quello che hai affrontato, quello che hai vissuto. Poi arriva il trofeo, il momento di gioire, ma bisogna godere il percorso, che è una parte del ciclo, del lavoro che si fa per vincere“.

“Abbiamo vinto subito la Supercoppa, una partita che ricordo perfettamente. Ricordo il gol di Sergio, ce la meritavamo, quella è stata il ‘click’ per la stagione. I tanti ruoli giocati? Sì, un segno di fiducia, ma anche una grande gestione del gruppo: Negro faceva il centrale, Pancaro a sinistra. Eriksson a volte lavorava per 15 giorni con un calciatore perché gli serviva per una partita specifica in quel ruolo. Il livello era talmente alto ed equilibrato, che doveva gestirli e lui faceva bene. Quando c’erano le Nazionali tutti andavamo via e restavano cinque giocatori”. 

Era un gruppo con grande leadership. C’erano tre capitani che erano Favalli, Nesta e Marchegiani. Tutti di quel gruppo avevano una personalità talmente forte, al punto che eravamo tutti capitani, ci gestivamo e ci rispettavamo molto. Il segreto di quella squadra era che ci allenavamo sempre in modo molto intenso. Tutti si allenavano allo stesso modo, perché potevano giocare tutti la domenica. Era una squadra con un carattere molto importante, giocatori che a loro modo avevano un carattere forte e davano qualcosa di diverso al gruppo”. 

Io avevo la fiducia dei giocatori e dei compagni. La nostra forza era questa, avere fiducia nei confronti di tutti. Potevamo vincere qualcosa di più, ma abbiamo fatto un bel percorso e ci siamo divertiti tanto. La capriola? Mi piace farla. Ho iniziato a farla nel Porto da piccolo qualche volta, quando segnavo gol importanti. Quando sono venuto qui sono tornato a farla una volta e alla gente è piaciuta, era diventato qualcosa di obbligatorio. Sono rimasto nel 2004 perché sentivo la responsabilità. Avevo avuto due proposte dall’Inghilterra, un campionato che mi incuriosiva, ma in questi 8 anni ho vissuto qualcosa di intenso, questo ha fatto modo che io rimanessi, anche con una Lazio diversa rispetto a quella vincente”. 






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