di Arianna MICHETTONI

Mandas — 7: allunga le speranze della Lazio neutralizzando la (quasi) inesistente offensiva norvegese. In particolare, agisce con riflessi perfetti sulla punizione calciata da Berg e su Helmersen.  Fa quel che può e anche di più sui rigori, non fa il miracolo sul gol del 3-1 che li avrebbe scongiurati.

Lazzari — 6,5: fa tanto col pallone, fino a volte a non sapere più cosa farne. Lotta, corre e aggredisce, a volte con eccessiva foga. Tiene alta la squadra, ma un tocco di precisione in più non guasterebbe. Resta una buonissima prestazione.

Gila — 6.5: il paradosso sta nell’aver disputato una fase offensiva ancora migliore della fase difensiva – risultando in una partita di altissimo livello. Partecipa incessantemente alla costruzione laziale, lanciandosi palla al piede dopo aver recuperato in area.

Romagnoli — 6,5: ultimo baluardo difensivo, corre e rincorre Høgh per tenere la Lazio aggrappata al consunto filo qualificazione. Inspiegabilmente, non scelto tra i rigoristi.

Marusic —6: sicuramente il più in ombra tra i suoi – sparisce nella corsa veloce altrui. Poco incisivo il suo contributo mentre la squadra è totalmente proiettata all’attacco. (Dal 68’ Tavares – SV: il senza voto è la dignità da riservare alle lacrime di un giocatore fragile non solo nel fisico. Già dall’ingresso si notava qualcosa di sbagliato, nonostante i tentativi di fare la cosa giusta. Dal 94’ Hysaj — 6: fa quel che può, incapace di tenere le redini di una squadra che è collassata sotto il peso della sua stanchezza.)

Guendouzi — 7.5: l’uomo della provvidenza. Non solo per i 120 minuti di intensità e intenzione, giocati senza mai un calo o uno sbandamento. Soprattutto, per il salvataggio su Hauge, che consegna alla Lazio i supplementari. Come una manna dal cielo serve l’assist per la testa di Dia, portando la Lazio su un 3-0 che significa miracolo sportivo. Menzione speciale per il rigore calciato: perfetto, in un contrasto di imperfezione.

Rovella — 7: inesauribile, inarrestabile, imprescindibile. È il fulcro del centrocampo laziale, l’ingranaggio che permette il funzionamento della squadra. Fa un incredibile lavoro di raccordo tra difesa e centrocampo, giocando sempre palloni utili per i compagni. (Dall’85’ Vecino — 5: il mistero, centrale nella sua sostituzione, non riguarda la dubbia prestazione disputata contro una squadra in attesa della sua condanna; il mistero è la sua assenza nella lista rigoristi. Impalpabile, proprio quando sarebbe stato necessario).

Isaksen — 7.5: ha il cuore del vero credente. Supera avversari, contrasti, supera persino la paura che un po’ attanaglia, un po’ irrazionalizza i suoi compagni di squadra. Forse è colui che crea il maggior numero di occasioni, servendo una quantità tale di palloni da far rimpiangere lo scarto minimo di reti. (Dall’85’ Tchaouna — 4: il sincero augurio è di non vederlo più in maglia biancazzurra. Rende possibile sbagliare l’impossibile, probabilmente fa record di palloni persi. L’errore sul rigore è madornale, come tutta la sua gara).

Pedro — 7.5: non bastano bit, pixel e fiumi di parole per narrare, quasi fosse una favola, le gesta di Pedro. Per i minuti che ha nelle gambe è il più veloce, il più lucido e il più strategico. Fa dei guizzi improvvisi il suo punto di forza. Sostituito prima del sintomatico calo fisiologico, si prende la standing ovation dell’Olimpico. (Dal 68’ Dia — 6.5: fa tutto il necessario per rianimare e tenere in vita la squadra. La boccata d’ossigeno che illude quando l’apnea è obbligatoria e letale).

Zaccagni — 6.5: commette alcuni errori di troppo, potenzialmente pagati a carissimo prezzo. Solita classe, ma dal capitano ci si aspetterebbe più determinazione, più presenza e più capacità di guidare la squadra. È il solito ricettacolo di dribbling e falli, ma stavolta non è sufficiente per la qualificazione (Dall’88’ Noslin — 6: dal paradiso all’inferno, una caduta velocissima e dolorosissima. Sceglie il rischio del rigore, sbagliandolo, ma aveva segnato il gol decisivo per disputare i supplementari).

Castellanos — 6: la gloria della prima rete, quella che accende il sogno biancazzurro, è mutevole come l’incubo dell’ultimo rigore calciato – quello che sveglia tutti i laziali, condannandoli a vivere la realtà più orribile.

All.: Baroni — 5.5: sarebbe stata la sua vittoria, la sublimazione di un percorso bello perché autentico, ancorché non perfetto. È, invece, la sua sconfitta: per l’incapacità di stilare una lista di rigoristi degni di questo nome, ma prima ancora per l’incapacità di stilare una lista europea.

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