di Arianna MICHETTONI
Le pagelle biancazzurre del pareggio riacciuffato al 95′ dalla Lazio all’esordio in Champions League.
Provedel — 10: Di questa sera resteranno tre cose: l’urlo all’inno, la posa plastica con cui Ivan si è lasciato cadere, sconfitto, al tiro-deviazione di Kamada e il suo tocco magico, letteralmente magico, che lo consegna di diritto alle leggendo da tramandare di Champions League in Champions League. Un’immagine che cattura una squadra che “gli altri segneranno però che spettacolo quando giochiamo noi, non molliamo mai” e sa di vittoria.
Marusic — 6.5: È su ogni pallone con intraprendenza e prepotenza fisica. Fondamentale il suo apporto in fase difensiva, dove aggiunge peso per neutralizzare efficacemente la manovra spagnola; si spinge anche in avanti, supportando meno la fase offensiva ma garantendo un solido appoggio quando c’è da costruire – o da ricostruire.
Patric — 6,5: Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più? E non ci sorprende, sai, la bella prestazione del numero 4 che nella tensione si esalta e smanaccia per scaricare l’eccesso di energia. Forse il miglior compagno che Romagnoli potesse chiedere questa sera, affrontando una squadra che più che giocare contro la Lazio gioca con la fortuna.
Romagnoli — 6: Detta i tempi delle diagonali e delle coperture difensive per poi, al bisogno, sganciarsi dal ruolo per essere più partecipe della manovra in fase avanzata. Non è manchevole in nessuna azione ma, come tutti, subisce il ritmo ipnotico che l’Atletico imprime alla partita.
Pellegrini — 6,5: Il fondo dei suoi occhi tristi è uno specchio che riflette la tristezza del popolo laziale: entrambi avrebbero meritato un esordio migliore, ma finché in campo si fa rispettare eccome. (Dal 38’ Lazzari — 5.5: Sposta poco e male, chiaramente non addentrato nei tatticismi della partita. Ad aggravare la situazione, una condizione fisica indecifrabile che, piuttosto che accelerare, rallenta).
Kamada — 5.5: In crescita netta, evidente e continua – ma, ad oggi, ancora insufficiente. Non per la sfortunata deviazione, quanto per la mediocre combinazione tra posizione sbagliata (ne consegue la mancanza di punti di riferimento) e tempi di gioco ancora imprecisi, inesatti. Diventerà il gran giocatore che è destinato ad essere; di certo l’attesa di un gran giocatore non è essa stessa il gran giocatore. (Dal 62’ Guendouzi
Vecino — 6.5: Chiede spesso palla per favorire il cambio gioco, ma gli scarichi ai compagni non sempre sono efficaci. Poiché velocità di esecuzione non sempre corrisponde a capacità di visione, a volte è lecito fermarsi per un paio di tocchi in più o un tentativo di tiro da fuori area. (Dal 78’ Cataldi — 6: A lui il ruolo di equilibrista sul filo di una Lazio evidentemente sbilanciata alla ricerca del pareggio. Fa filtro e ordine mentre i compagni sguazzano nel caos).
Luis Alberto — 7: Lucidità, reattività, creatività: polveriera che può essere incendio o fuoco d’artificio, lui sceglie quando correre per esaltare la squadra e quando rinunciare, lasciando ancor più sola una squadra già sola. Ormai privato del dialogo con Immobile, prova fulminee soluzioni personali e solitarie che valgono una linguaccia al destino e a tutto ciò che il destino comporta. Dall’inizio alla fine il centrocampo è dentro i suoi occhi e sotto la suola dei suoi scarpini.
Anderson — 6: Non una sua giocata verrà consegnata agli annali o alla memoria storica dei tifosi, che pur di questa partita qualcosa ricorderanno. La sua presenza in campo è pari ad un giocatore che tenta di far qualcosa, qualsiasi cosa, invano. Non c’è la lode e non c’è l’infamia, chiaramente; c’è solo una distesa di occasioni mancate di cambio gioco e affondi che, alla lunga, annoiano. (Dal 62’ Isaksen — 6: sbaglia di più e, in misura direttamente proporzionale, crea di più. Ha una freschezza acerba, come una boccata d’aria che è ossigeno impuro per una squadra che ha sì bisogno di respirare, ma aria buona. Ha dalla sua l’imprevedibilità giovanile che è difficile da contrastare… e da sfruttare.)
Immobile — 5.5: La gratitudine infinita, l’obbligo morale di regalargli una serata di Champions League da capitano in un Olimpico esaurito – non solo nel significato di capienza. L’esaurimento nervoso è anche veder Immobile (non) giocare, sbagliare gli appoggi e gli inserimenti e, in ultimo, non accorgersi di essere in fuorigioco su ripartenza di Luis Alberto. Quindi è questione di ritrovarsi, non di riscattarsi.
Zaccagni — 6.5: Mancò la precisione, non il valore tecnico. Ma fa la stessa fatica di Luis Alberto e Felipe Anderson, quando non trova il finalizzatore in attacco. La sua centralità nella manovra offensiva è direttamente proporzionale ai falli subiti e ai tentativi di affondo murati. (Dal 76’ Pedro — 6.5: L’esperienza europea gli detta i movimenti di gioco, precisi ed efficaci. Il suo ingresso aggiunge forza e peso offensivo, fino a rendere la manovra quasi isterica).
Allenatore Sarri — 7: Sa qualcosa che i laziali ignorano quando, annunciando la formazione, lancia Vecino a centrocampo e Patric in difesa. E quel che sa si rivela essere, in sintesi, filosofia calcistica: azzecca gli uomini che, al netto di situazioni particolari, giocano generalmente una buona prestazione su cui aleggia, però, la solita sfortuna. Lui resta imperturbabile, nella sua tuta d’ordinanza che mischia grandi occasioni a partite ordinarie, forse a significare che ognuno dei suoi novanta minuti ha qualcosa da raccontare – nessuno escluso. E questo racconta del gol del portiere, al 95’, che consegna un pareggio non nella misura di un punto ma di un debito saldato con il destino. È ora di riprenderci quello che è nostro.