Dott.ssa Carla Tisi
(Laureata in Scienze Motorie e Sportive, laureata in Psicologia, perfezionata in Psicologa dello Sport, specializzata in Psicoterapia indirizzo psicoanalitico)

Inizio questo articolo, che nasce dopo aver assistito al post partita della finale di Europa League vinta dal Siviglia contro la Roma, con una domanda: si può parlare di Sport con la S maiuscola anche in campo professionistico?
Senza dubbio gli studi sulla Metodologia dello Sport, le ricerche su prestazione e talento, gli interessi culturali, nonché i corsi e percorsi di studio per ottenere il patentino di allenatore, di preparatore fisico, di psicologo dello sport o di qualsiasi altra figura professionale che lavora dietro le quinte di qualsiasi performance atletica, non lasciano dubbi circa l’uso della maiuscola anche quando parliamo di manifestazioni di atleti professionisti.
Ma questa S maiuscola si frantuma ogni volta che questo palcoscenico internazionale, che è lo Sport ad altissimi livelli, anziché offrire, oltre allo spettacolo, un esempio di quello che oggi chiamiamo fair play e che nell’antica Grecia era il “bello e virtuoso” (kalòs kai agathòs), riproduce comportamenti disdicevoli, scorretti, irrispettosi, come se la scena sportiva potesse considerarsi al di fuori e al disopra delle più elementari regole di vita sociale.
E perché tutto ciò è grave?
E’ grave perché, oltre a degradare la scena sportiva a sfogatoio di istanze personali, risentimenti, incapacità di gestione emotiva, si perde totalmente il grande scopo per cui nell’antica Grecia si pensò di deporre le armi e sfidarsi nelle gare olimpiche, trasformando il campo di battaglia in campo da gioco!
In buona sostanza, invece, oggi sempre più frequentemente, si ricapovolge il paradigma, trasformando lo sport in una sorta di guerra personale che, in realtà, dato l’esempio, autorizza implicitamente quella collettiva abbracciata dalle tifoserie.
L’espressione violenta dell’incapacità di accettare il verdetto, qualunque esso sia, trascina implicitamente il pubblico fuori dal contesto simbolico che consente il confronto tipico dello Sport vero, quello del “sarai un vero atleta se…”, per i pochi che ancora si ricordano quel decalogo di regole.
La Psicologia è chiamata in causa spesso quando c’è una sconfitta, ma nel senso più restrittivo e giornalistico dell’affibbiare all’atleta di turno, alla squadra o all’allenatore qualche “problema o difficoltà” appunto psicologica come giustificazione, scusante della prestazione scadente.
E qui assistiamo ad un altro strappo, il cui dolore è percepito solo da tutti coloro che ancora credono nello Sport sano, pulito, utile insegnamento di vita. Per questi nostalgici la prestazione non è solo tecnica, ma umana. Il gesto sportivo non è solo un risultato, ma espressione profonda di tutto un percorso soggettivo fatto di rinunce, sacrifici, impegno, disciplina, gli stessi che poi sarai in grado di utilizzare proprio nella vita di tutti i giorni, perché sei un agonista dentro, qualunque cosa tu faccia, a qualunque età, senza inganni e senza scorciatoie. Sei abituato al fatto che le tue cadute, i tuoi insuccessi al pari delle tue vittorie siano sotto lo sguardo di tutti! Così il giorno dopo, sia in caso di vittoria che di sconfitta, sai che ricomincerai ancora e ancora il tuo impegno e la tua crescita sportiva, perché nello Sport come nella Vita si può solo vincere o imparare, non si perde mai!
Questa è, o sarebbe, la grande forza mentale dello sportivo, fatta di umiltà e impegno. Ma anche lo spessore umano di un allenatore che guida un atleta o tutta una squadra.
L’apporto della Psicologia di settore certamente ha gli strumenti per sollecitare la riflessione, e dunque la rielaborazione e la maturazione soggettiva, tanto sulla vittoria quanto sulla sconfitta, perché di questo è fatto il confronto sportivo.
Ma quando non si impara dai propri errori o semplicemente non si riconosce all’avversario la sua superiorità tecnica, fisica o, appunto, psicologica, non solo si degrada la propria performance, ma, cosa ancora peggiore, si offre in pasto ai propri tifosi e al mondo intero un esempio di comportamento antisportivo e francamente incivile, molto lontano dai veri valori dello Sport, seppure trattasi di quello strapagato.
Anzi, proprio per questo è più grave. Perché la non accettazione della sconfitta, la recriminazione, il borbottio, financo il turpiloquio, mostrano l’impotenza di una mentalità da perdente che nessun corso, nessuna esperienza, nessun denaro e infine, addirittura, nessuna vittoria, possono cambiare.

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