Nel giorno dell’anniversario della vittoria del 26 maggio 2013, ospitiamo i racconti di cari amici e colleghi e dei nostri redattori su quella fantastica giornata. Andrea Cecchetto, esponente del gruppo “Laziali Veneto” e de La Voce dei Laziali ci racconta com’è vivere “a distanza” il sentimento per i colori biancazzurri in un giorno così importante




#Ilmio26maggio: Per un Laziale al Nord il 26 maggio vale di più!

di Andrea CECCHETTO

La vita da laziale al Nord è diversa. Per certi versi forse più facile: meno sfottò da ricevere, maggiore distacco da certa ansia tipica dell’informazione romana. Ma per altri, davvero difficile: ci si accorge che proprio quell’immersione a 360 gradi nella romanità dell’essere laziali manca, e soprattutto si è molto spesso costretti a soffrire da lontano insieme a quegli 11 ragazzi che portano in campo i nostri colori.

Tutto questo però lasciò del tutto immutata la percezione che quel 26 maggio 2013 avessimo un appuntamento con la storia: fin dalla loro semifinale di ritorno, ogni giorno non potei che pensare a quanto quella fosse un’occasione creata dal destino, un appuntamento che nel pathos e nell’ansia superava persino le notti magiche dell’era Cragnotti, che pure avevo vissuto ancora bambino. Così, ecco la scelta di condividere con pochi amici quel giorno, accuratamente selezionati anche perché di colori diversi da quelli in campo, forse per darmi un po’ di distacco che solo chi non era coinvolto poteva portarmi.

L’attesa spasmodica delle ore 18…l’occhio fisso sull’orologio fino al calcio d’inizio, vissuto con la maglia di quell’anno indosso e il bandierone srotolato sul divano. Uno dei derby più brutti che io ricordi, ma di sicuro il più difficile da vivere. Quell’esultanza neanche troppo convinta al gol di Lulic, quasi come se i 70 minuti precedenti avessero svuotato le mie riserve nervose. Mi ravvivo solo un po’, paradossalmente, sulla traversa di Totti che arriva quasi subito, e poi sul 2-0 divorato da Mauri in contropiede. Probabilmente, i 20 minuti più lunghi della mia vita da tifoso.

Al fischio finale, neanche un balzo: mano sulla fronte e lacrime. Perché sì, la mia Lazio aveva vinto, e si era consegnata alla storia. Non c’è rivincita, diciamo noi: e allora festeggiamo, ma gettiamo il nostro cuore, la nostra nobiltà e i nostri valori in campo affinché presto persino quella vittoria ci sembri poca cosa rispetto ai nuovi traguardi che sapremo conquistarci.






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