Nel giorno dell’anniversario della vittoria del 26 maggio 2013, ospitiamo i racconti di cari amici e colleghi e dei nostri redattori su quella fantastica giornata. La raffinata penna di Arianna Michettoni risponde a una domanda: quanto è valso l’attimo del gol di Senad Lulic?




#Ilmio26maggio: 71′, l’attimo in cui tutto è stato come doveva essere

di Arianna MICHETTONI

Spesso ci si chiede cosa sarebbe stato se. Come sarebbe stato se. Perché la vita accade nell’esatto momento in cui nessuno riesce a dar un senso alla vita che succede. Eppure, eppure la sentenza di morte al fatalismo la concede il tempo, indefesso custode della linea degli eventi. E la tacita rassegnazione, poi, che non è stato – semplicemente – quello che proprio non doveva essere – e non poteva essere altrimenti.

Spesso ci si chiede se sia davvero possibile fuggire perciò al destino, all’oggi, alla serie interminabile di impercettibili accadimenti che, non importa, accadono, e accadendo scandiscono il ritmo vitale di ognuno. Che a volte però accelera, per improvvisamente rallentare, improvvisamente ancora arrestarsi, come si arresta un battito cardiaco, fermarsi come si ferma l’eterno. Un attimo eterno allora, un attimo eterno tra me e te, tra la Lazio e la roma, tra i tifosi e la Coppa Italia, tra il 26 maggio 2013 ed ogni 26 maggio degli anni, tutti gli anni, a venire.

E ci si chiede anche se sia possibile rivivere la felicità, ché non c’era pienezza nella felicità, non ci si accorge della felicità nell’attesa di un momento felice. Felicità era già nel pre-partita, nei minuti prima del 71’, nei minuti dopo il 71’, nei minuti durante la medaglia, i lustrini, l’inno e la Coppa sollevata da un popolo intero e per un popolo intero. Quando non ci sono più minuti, quando ogni unità di misura è sospesa o ripresa come termine di paragone tra Lazio ed altro, tra laziali ed altri, ultimo confronto tra ciò che poteva essere e, in un tripudio della Vittoria, è stato solo per la prima squadra della capitale e per nessuno più. Tripudio della Vittoria che sconfigge il “come se”, illuminando la storia il cui unico peccato – nella sfrontatezza del vincitore – è di divenire passato già mentre avviene: non un “come se”, un come è, è stato e per sempre sarà.

Una descrizione degli eventi, un racconto, una mitologia calcistica scritta con l’argento lucido della cronaca degli eventi: un puntuale resoconto romantico, non ipotetico, non un rifugio dell’immaginazione che escogita un cosa sarebbe stato se, come sarebbe stato se, di ciò che è stato inventato prima nell’inutile tentativo di cancellare o persuadere il dopo. Non c’è più nessun dopo, dopo la Lazio. Non c’è nulla che non è stato come avrebbe dovuto essere.






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