di Arianna MICHETTONI (foto © Antonio FRAIOLI)

Le pagelle biancazzurre del pari riacciuffato al 94′ contro il Lecce:

Provedel – 5.5: Vittima dell’inconsistenza difensiva della squadra, ha il merito di aver ipnotizzato Strefezza il tempo utile per creare un errore e l’illusione, nella Lazio, di essere più forte anche degli allineamenti planetari che preannunciano sventura. L’unico che, pur cercando di evitare i soliti sbagli, ne viene invece inevitabilmente colpito. Urla per rianimare la squadra, evidentemente spaventato dall’inerzia collettiva.

Lazzari – 6: Va più veloce dei suoi stessi pensieri o, più probabilmente, va in debito d’ossigeno fino a non capire più chi è, come è arrivato lì, come far girare la palla; fino a credere, come lo credono tutti i tifosi, che “lì” ci sarebbe dovuto stare più spesso. Perché la Lazio ha bisogno della sua velocità, dei suoi affondi, anche delle sue invenzioni. Crea spazi e crea problemi ad Umtiti e compagni, azioni di cui però nessuno approfitta.

Casale – 5: Evanescente. Manca le diagonali e, ancor più, manca il suo apporto difensivo. Dimentica le marcature, dimentica gli avversari, probabilmente dimentica pure di star giocando la partita che (virtualmente) assegna la Champions. Simbolo di un’inspiegabile involuzione che ha colpito l’intera squadra.

Romagnoli – 5.5: Si differenzia solo per aver realizzato un maggior numero di chiusure, per aver almeno provato un contenimento difensivo, ma le voragini create tra centrocampo e difesa sono parzialmente imputabili anche ad una sua mancanza di lucidità mentale, un difetto che rallenta la capacità di lettura dei movimenti propri e altrui.

Hysaj – 4.5: Purtroppo tornato alle ombre di un tempo, quelle che si allungano quanto più ti avvicini alla luce. Causa il rigore (poi, per quel vizio divino che costringe alla sofferenza le migliori anime, sbagliato), è assente in fase difensiva durante i due gol del Lecce, e pure in attacco – soprattutto se paragonato al grande dinamismo di Lazzari – è inconsistente. (Dal 51’ Pellegrini – 6: Da ripetere in sequenza per undici volte, clonarlo per avere una Lazio trionfante: è il suo ingresso a cambiare le sorti della partita, ed è un suo cambio gioco ad innescare il gol del pareggio. Inamovibile.)

Milinkovic-Savic – 5.5: Il lento, inesorabile, declino è un percorso a ostacoli che lo porterà a svestire la maglia della Lazio. Per l’apporto nullo, è quasi sperabile che la svestizione avvenga prima del finale. Imperdonabile l’aver preferito un moscissimo colpo di testa al servire un Ciro Immobile solo e ben piazzato davanti a Falcone in tempi utili per recuperare davvero la partita. Trova, al 94’, un gol del pareggio quasi casuale, un merito condiviso con l’errore di Falcone. Non basta a salvare la sua prestazione, pure perché non si salva chi non vuole essere salvato.

Marcos Antonio – 5: Tanto impegno, buona corsa, ma due partite giocate da titolare mostrano gli evidenti limiti fisici del numero 6. La corsa non sopperisce all’incapacità di marcatura e alla parallela scarsa resistenza al vigore avversario, che riesce a neutralizzarlo con una leggera levata di gomito. Il tecnicismo non basta per il campionato italiano: serve robustezza, prestanza, soprattutto capacità di copertura. Le giocate orizzontali sono la goccia che fa traboccare il vaso. (Dal 73’ Basic – 5.5: Migliora l’equilibrio del centrocampo, aggiungendo peso e ruvidezza. Porta la squadra a difendersi meglio, dà il buon esempio tentando la giocata individuale. Col senno di poi ci si riempiono i fossi, ma il suo “se” è gigantesco: se avesse avuto più fiducia?)

Luis Alberto – 5.5: In un mondo di ciechi, chi ha un solo occhio è re: brancola nel buio ma è l’interruttore che accende momentaneamente la serata, quando serve l’assist per l’effimero e beffardo vantaggio segnato da Immobile. Fa la la sua abbondante dose di errori, ma è un’unità di misura che divide equamente con i suoi compagni – non solo di reparto. Attraverso lui traspare tutto il nervosismo della Lazio.

Felipe Anderson – 5: Visibilmente stanco, quasi terrorizzato dall’andamento mediocre di tutta la squadra – con cui stasera manca pure l’intesa. Poco visibile contro Falcone (ma la Lazio, a 25’ dal calcio di inizio, era ferma a 0 tiri verso la porta avversaria), poco supporto ad Immobile. (Al 51’ Pedro – 6: Entra con una dose di grinta che, da sola, basta a colmare le evidenti lacune caratteriali/psicologiche e ad aumentare la cilindrata mentale della Lazio. L’ingiustizia, quella contro cui lotteremo per sempre, gli serve un palo – l’ennesimo, metaforico e non, preso dalla squadra. Fallisci ancora, fallisci meglio.)

Immobile – 6: Bella bellissima l’esultanza, carica di significati che esulano la singola partita. Liberatoria, l’ennesimo punto-e-a-capo per far asciugare l’inchiostro che ha scritto infortuni e sfortuna. Il suo ritorno al gol ragala brividi profondi. Ma la stessa penna resta sulla pagina della sfiga: nessun lieto fine, non questa sera. Forse, non per questa stagione.

Zaccagni – 5.5: Gesticola il suo malessere verso una squadra che ha smesso di seguirlo e di servirlo. Tiene però la sua posizione, tiene anche la speranza di essere trovato lì, al suo posto, sempre pronto. Sul finale è uno dei più dinamici.

All.: Sarri 5.5: Il richiamo della preparazione, i tre cambi, gli avversari che pressano a uomo anticipando il modo laziale di giocare: tre spunti di riflessione che sono solo un commento alla filosofia del “se non puoi vincere, almeno non perdere”. Un punto che serve solo per la semiotica del pareggio, una narrativa del non-vinto che solo il tempo (utile al giudizio della critica) potrà valutare.

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