di Arianna MICHETTONI (foto © Antonio FRAIOLI)
Le pagelle biancazzurre dell’amaro sabato della Lazio, sconfitta in casa da un Torino che, nel mezzo di un arbitraggio discusso, si prende l’intera posta all’Olimpico quasi col minimo sforzo.
Provedel – 5: “Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo”, oppure: se Provedel avesse la possibilità di mantenere l’imbattibilità agendo parate comode su un Torino rinunciatario, impegnandosi più sui retropassaggi che sui riflessi, sceglierebbe il finimondo su un tiraccio di Ilic affidato alla dea bendata – perché è la sfiga a vederci benissimo.
Marusic – 6: Fa quel che può con quel che ha, ed in effetti lo fa fatto bene: sfrutta i suoi mezzi fisici per facilitare la manovra offensiva della squadra, contrapposto ad un Torino falloso e con l’unico obiettivo di chiudere gli spazi. Ai primi 45’ di buona intensità e lucidità fa seguito, però, una seconda frazione di gioco di minore vigoria, un mal comune dei biancazzurri impegnati ad affrontare dodici avversari. (All’80’ Pellegrini – 6: Entra con voglia, determinazione e fa quello che ogni tifoso avrebbe voluto fare: tenta di trascinare la squadra, indicandole la via per l’attacco e per il non mollare mai – anche quando è proprio la Lazio a mollare. Date le premesse e l’agilità di movimento sulla fascia, il suo è un ingresso tardivo.)
Patric – 6.5: Perfetto interprete della trama sull’allievo che supera il maestro, col cliché romantico del protagonista sgangherato ma simpatico, beniamino del pubblico e in dolcemaro debito di lieto fine. Il compagno che divide meriti e oneri per ricevere gli onori di una condotta difensiva senza errori, con l’inquadratura stretta che segna il finale didascalico: non sempre si può vincere, quel che conta è imparare. E lui, insomma, ha imparato ad essere un difensore. (Al 69’ Casale – 6: Impiegato per dar maggiore copertura ad una squadra con l’obbligo di dedicarsi completamente all’attacco, neutralizza ogni – già inesistente – tentativo granata.)
Romagnoli – 6: Ha la giusta malizia in quei falli di gioco commessi non in difesa, ma per la difesa della sua squadra – con doverosa menzione al cartellino giallo causato dalla vendetta privata su Singo, citazione all’arbitraggio scritto e diretto dal Quentin Inventino. Sbaglia per foga e per la certezza di avere le spalle coperte.
Hysaj – 6: Lui, più di tutti, ha da recriminare: dal rigore negato ai falli subiti, dispiaceri che stroncano qualsiasi velleità di bellezza se appesantita dall’inefficacia. Vittima del cambio d’umore della squadra, si spegne contro le ingiustizie che accetta e non combatte. (Dal 69’ Lazzari – 5.5: Scelto da Sarri per dar maggiore dinamismo ed intensità alla squadra, viene ammonito per la troppa foga usata nel lanciare tutti in attacco. Poco fruttuoso il suo ingresso, forse poco utile: lui gioca – o tenta di giocare – una partita ingiocabile.)
Milinkovic-Savic – 5: Oltre la crisi di gioco, più in là del risultato critico, la crisi è tutta centrata sulla sua identità: Sergej non è più nulla, né un giocatore decisivo, né un leader carismatico, neppure l’ombra di sé stesso – anche lei ha chiaramente rinunciato a seguirlo. E allora non lo seguono neppure i compagni, non di reparto e neanche in attacco, e le soluzioni individuali sono calci svogliati al pallone già in situazione di svantaggio. Nonostante le richieste d’amore e di permanenza, il pensiero è tutto alla sua partenza – corporea, perché la mente (e i suoi stimoli, e le sue motivazioni) è partita tanto tempo fa.
Vecino – 5.5: Ha l’obbligo di stringere i denti per mantenere inalterato l’equilibrio del centrocampo, gioca quindi al meglio delle sue possibilità. Ma la precaria condizione fisica – evidente il suo non pieno recupero – lo rende meno incisivo. Il pressing torinese peggiora la sua situazione, già compromessa nel primo tempo. (Al 54’ Marcos Antonio – 5.5: Un cerotto su una ferita che richiede punti di sutura. Corre, corre tanto, prova a servire la squadra ma va spesso a vuoto – incolpevole, perché evidentemente poco inserito nella manovra laziale.)
Luis Alberto – 5.5: Intuisce la fondamentalità del tiro da fuori, tuttavia con scarsa applicazione. Spugna emotiva, assorbe l’umoralità della squadra: prima protesta, poi diventa triste e trova rifugio nel centrocampo, ai margini di una partita che (non) si svolge senza di lui. La velocità di pensiero lo colpisce poi con la realtà che successivamente si mostra alla squadra e a tutti: la Lazio non avrebbe mai vinto, non se si gioca un gioco diverso dal calcio.
Pedro – 6: Buon inizio, soprattutto nei minuti che la Lazio gioca meglio: l’avvio di gara, quando c’è ancora l’illusione delle probabilità. Le probabilità, però, non sono mai a favore della Lazio, non nel piano del possibile, nemmeno tentando l’impossibile. (Dal 54’ Immobile – 6.5: L’impossibile è il cambio che Pedro fa con Immobile, sceso in campo con tutore e costola compromessa – forse meno della partita, però. Se l’inferenza statistica non restituisce il risultato sperato, insomma, si tenta il miracolo. Ma il divino è distratto, confuso, girato di spalle: non interviene nella sua giustizia, così come non c’è la giustizia terrena arbitrale. A nulla vale la rovesciata di Ciro, non si rovescia la sorte della Lazio.)
Felipe Anderson – 5.5: Evidente sia una squadra che deve giocare sull’entusiasmo per non implodere e collassare. Pregare è inutile quando alle parole non fanno seguito le azioni: quelle di Felipe sono, oggi, poco concrete e poco offensive. Insomma: di offensivo c’è solo il trattamento subito dalla Lazio, che però, in cima alla lista di recriminazioni, può mettere mancanza di giocate e lanci in area da parte di Anderson – pure tornato al suo ruolo di esterno.
Zaccagni – 6: Ha la palla del destino, quella che rende immediatamente chiaro che non si sta giocando contro uomini, ma contro la sorte. E se ne sta a metà, non come la virtù, ma come chi non raggiunge l’obiettivo. È pur vero che è un obiettivo mobile e mutevole, in continuo movimento come Zaccagni: che fa la sua solita partita di sacrificio, falli subiti, ma azioni poco incisive.
All. Sarri – 6: Non si allena la fortuna. Lui allena calciatori che schiera secondo il suo meccanismo, che poche ore fa girava alla perfezione. Non esiste alternativa alla Lazio schierata contro il Torino o alle sostituzioni effettuate, non esiste soprattutto alternativa all’impotenza manifestata dalle braccia allargate all’ennesimo torto arbitrale.