di Arianna MICHETTONI (foto © Antonio FRAIOLI)

L’emozione una voce ce l’ha, è quella chiara, nitida e forte, che suona compatta e restituisce il nome “Lazio” cantato, gridato, quasi invocato.
È la voce dei quasi trentamila tifosi laziali – uno stadio nuovamente, finalmente, gremito (con una capienza al 75%) per il racconto di una serata europea un po’ nostalgica come nostalgico è il tramonto dalle sfumature di rosso e indaco sull’Olimpico, cielo che strappa sorrisi e voglia di andare, comunque andare, andare avanti.
Il Porto è squadra di mestieranti – poco poeti ma eccellenti navigatori: l’11 di Conceição incastra la Lazio nel suo schema di battaglia navale, lanciando a volte a vuoto, fingendo spesso un affondamento trappola. Insomma: va per mare ma sta anche spesso a terra, sfruttando pienamente il vantaggio dell’andata e lasciando che il timone – il cui movimento ricorda le lancette di un orologio – giri a proprio favore.

Navigare a vista: Felipe Anderson al 3’ fa la sua doppia mossa di prepotenza, ma è acqua la sua. A essere colpito è invece Radu, già al 4’ del primo tempo: cartellino giallo per intervento duro su Otavio – sanzione che richiederà azioni di contenimento.
Primi minuti di gioco frenetici, un’iperattività però ansiosa e perciò improduttiva. È una fase di studio a ritmi alti ma convulsi, durante la quale la maggior parte del gioco si svolge a centrocampo. Azioni e reazioni, fino alla prima e veritiera intuizione: la squadra che saprà meglio infilarsi negli spazi strettissimi avrà la meglio. Tenta il Porto, riesce la Lazio – nella persona di Ciro Immobile, la metonimia perfetta per i biancazzurri: tutto in due minuti, tutto in solitaria, tutto un “è sempre lui”. Già realizza al 18’ su passaggio filtrante di Luis Alberto, ma il fuorigioco interrompe l’esultanza. E allora il numero 17, con la calma che è virtù solo dei forti, fa da capo e fa ancora meglio al 19’ portando la Lazio in vantaggio e sbloccando il periodo di forza laziale. È infatti assolo, che porta, al 21’ ad ancora un gol – realizzato da Immobile su assist di Felipe Anderson – di nuovo, però, annullato per posizione irregolare del fuoriclasse biondo.

E se il Porto è in alto mare, è facile che lontano dalla riva si scateni una tempesta: Milinkovic sbaglia il tempo di intervento su Taremi, dando inizio ad una serie di sfortunati eventi. Prima il giallo per simulazione estratto dall’arbitro, poi la chiamata del VAR che capovolge la decisione: è rigore, Strakosha non para (pur indovinando la traiettoria), Taremi da ammonito diventa marcatore dell’1-1.
La Lazio non subisce il contraccolpo, e l’annullata regola del gol in trasferta fa perdere la percezione della complessità della situazione: la manovra d’attacco biancazzurra è tuttavia sterile, disinnescata anche dagli interventi duri dei giocatori del Porto (complice, c’è da menzionarlo, il lassismo arbitrale). C’è solo il cartellino giallo per Zaidu per una manata sul volto di un Felipe Anderson lanciatissimo nell’uno contro uno, ma manca la sanzione su Vitinha che gioca al bersaglio Pedro-Immobile.
Complicazioni aumentate dalla foga agonistica che causa l’imprecisione: il calcio di Sarri è anche cura maniacale dei dettagli, concetto perso tra i disimpegni imperfetti e azioni in attacco disorganizzate aumentate durante i 5 minuti di recupero concessi dall’arbitro. Ma la prima frazione di gioco termina 1-1, in un solo apparente equilibrio che rimanda qualsiasi giudizio di un tempo ancora.

Lo stadio tutto non fa mancare il suo sostegno incitando per i tre gol (più di un coro, perché risultato effettivamente utile al passaggio del turno), ma la ripresa di gioco la approccia meglio il Porto: la Lazio è schiacciata nella sua metà campo. Al 47′ è già occasione per Pepê che, di testa, manca la porta da pochi passi. È forse però la paura la migliore scarica d’adrenalina per la Lazio: al 49’ Luis Alberto manca un gol inspiegabile, seguendo la sua coerenza magica. La sponda di Milinkovic è perfetta, eppure il numero 10 calcia di pochissimo al lato – crollando in una reazione disperata, come sono disperati i tifosi.
Al 54′ – Primi due cambi per la Lazio: fuori Radu e Leiva, dentro Hysaj e Cataldi. Sostituzioni che destabilizzano un po’ la memoria tecnica della Lazio, che stringe i denti per una doppia occasione portoghese: due tiri da fuori – di Otavio e di Vitinha – costringono Strakosha alla doppia (bellissima) parata.

È una partita apertissima, viva sul campo ma esperienza di premorte sugli spalti: i continui capovolgimenti di fronte lasciano col fiato sospeso, soprattutto quando è la Lazio ad attaccare. L’undici biancazzurro trova maggiore spazio sulla fascia destra, costringendo la difesa del Porto a rifugiarsi in calcio d’angolo – sui cui sviluppi è inefficace il colpo di testa di Patric.

Attacco isterico e non strutturato quello laziale, manovra offensiva cinica e dalla precisione chirurgica quella del Porto: più pericolosa con minori azioni, tanto da arrivare al raddoppio con doppietta di Taremi con una semplicità devastante, distruttrice di ogni velleità di bel gioco che porta al risultato biancazzurro. Sul risultato 1-2 la Lazio subisce il definitivo crollo psicologico, favorito anche dal possesso palla curato con maestria portoghese: è la mossa del colpito e affondato di una battaglia navale che il Porto ha vinto scovando tutte le posizioni laziali ed annullandole, rendendo lo schieramento Sarrista inoffensivo, scoprendo i nervi biancazzurri poi fasciati da cartellini gialli posati su Cataldi, Luis Alberto e Patric. Esce Pedro al 71’, al suo posto si tenta l’entusiasmo del giovane Moro.

A schemi saltati e intenzioni scoperte, i minuti finali della partita sono il riassunto della ferocia della sconfitta – non accettata perché inaccettabile. La Lazio si lancia in avanti e le tenta tutte, anche invocando la sorte e qualcuno più in alto del destino, ma la palla non entra, si ferma ad accarezzare la rete, fa un saluto alla traversa, rotola in rimpalli ma non entra. Tre volte la sfortuna travolge Luis Alberto, perché davvero mancò la fortuna, non il valore. Un mago che trova la porta stregata, una palla incantata che non vuole entrare – pure se i minuti di recupero sono 6, e le occasioni laziali si accumulano come una pila di sogni abbandonati ma poi rimpianti. Si giochicchia ancora, ma ogni istante scivola via verso l’inesorabile verdetto: una qualificazione alla port-ata gettata al vento, come quella palla che viene gettata dentro da Cataldi solo per far aumentare il dispiacere. 2-2 al 94’ con due minuti ancora da giocare: la Lazio ci prova ma è evidentemente sopraffatta da un risultato bugiardo, che non restituisce l’immagine fedele del suo cammino europeo, meritevole degli applausi dei trentamila presenti.

Lazio eliminata con onore dall’Europa, ma ancora incapace di sostenere gli impegni paralleli e le tre partite ravvicinate. Eppure la sensazione è che quello che avrebbe potuto essere ma non è stato tormenterà a lungo la squadra, che ora ha l’ingrato dovere di dimostrare il suo valore – non per una mancanza di autostima, ma per il bisogno di riconoscimento altrui.

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