di Arianna MICHETTONI (foto © Antonio FRAIOLI)
Non è la cronaca di un disastro annunciato quanto, piuttosto, il romanzo a puntate di un’annata già nella sinossi definita “di transizione”. Sarebbe bello sapere verso dove si transita o, quanto meno, dove è necessario passare o cosa bisogna attraversare per arrivare lì dove il transito impone. La Lazio non lo sa: sono ignavi gli undici scesi in campo più per necessità che per virtù, comincia ad essere estraneo pure l’allenatore Sarri. La cui unica colpa è continuare a sparare (o sperare) su calciatori psicologicamente morti, incapaci di trattenere un vantaggio durato fino al 97’.
Reina – 4.5: è come d’estate, il caldo e le 3 del mattino, una notte insonne e una zanzara che ronza nel buio: con la mano tenti di scacciarla, ma quella resta lì ad affievolire le tue speranze di sopravvivenza. La palla che finisce in rete, per tre volte ancora ed inesorabilmente, è il morso di quella zanzara che Reina non è riuscito a scacciare.
Lazzari – 5.5: il voto è la somma iniziale della bruttezza collettiva: lui in realtà spinge, pur imprecisamente. Perché lui, come gli altri, non ha assolutamente definita la direzione – si va avanti per inerzia. E per inerzia si risale, insieme, un tentativo sulla fascia per volta.
Patric – 4: nella sua improbabilità ha sempre spiccato per simpatia (più o meno), abnegazione (insomma) e spirito di sacrificio (quello che compiono i tifosi laziali a guardare le sue prestazioni). Come mai tali, tante ed eccellenti doti causano un “levalo” come grido unanime dagli spalti? Ma Sarri lo tiene in campo e lui rimedia l’espulsione – le colpe dei padri che ricadono sui figli.
Acerbi – 6: quando una cosa finisce – e già durante la sua fine – è inevitabile ripensare agli inizi: Acerbi era un uomo nuovo nel corpo dell’esperienza, una guida difensiva e la colonna vertebrale della Lazio. Non lo è più, potrebbe tornare ad esserlo nel momento in cui svetta più alto di tutti (difesa e difensori inclusi) a segnare il quarto gol, quello del momentaneo e tanto sospirato vantaggio. Per un giudizio definitivo serve tuttavia la continuità, assente al momento nella Lazio – così come sono assenti tanti altri requisiti indispensabili ad una tranquillità di squadra.
Hysaj – 5.5: totalmente evanescente, neppure nella tragedia spicca. Dimenticabile nel primo tempo come tutta la partita nel suo insieme, passato dall’essere il traduttore degli schemi e del modo di giocare di Sarri all’essere vittima dello stesso meccanismo imparato a memoria. Poi qualcosa accade nello spogliatoio e spacca la partita e chissà che proprio lui non abbia, anche stavolta, rispettato il ruolo di spalla sarrista e svolto un ruolo determinante nella mini-rivoluzione biancazzurra.
Milinkovic Savic – 7: di lui colpisce l’immagine, a secondo gol subito, della raffigurazione della sconfitta: mani sui fianchi, posa dinoccolata, capo chinato di lato. Rappresenta la resa di questa squadra: una geometria sbagliata che non trova apparentemente soluzione. Poi però, da uomo a cui è stata affibbiata la descrizione perfetta di intelligenza, inventa quello che fino a poco fa non c’era: il gol del 3-3, sua personalissima creazione. Il gol che apre le porte alla ribalta (non ancora alla bellezza, tanto proclamata in estate).
Cataldi – 5.5: fuoco di paglia, condizione subito persa, affaticamento generalizzato causato dalla pesantezza della squadra: quale che sia la causa della sua involuzione (che rispecchia l’involuzione della Lazio intera) la stessa non appare improvvisa o inaspettata, e la sensazione è che sia, anzi, in decrescita. ( Dal 77’ Zaccagni – 6.5: Sarri lo sceglie per penetrare la difesa dell’Udinese, mossa azzeccatissima perché, approfittando della stanchezza e del calo mentale – leggasi paura – dei friulani, cambia il volto del minutaggio finale. Purtroppo la sorte no, non riesce a cambiarla, e allora speriamo però cambi la sua posizione: dalla panchina al campo).
Luis Alberto – 5.5: un mago di cui sono stati svelati i trucchi: smette di sorprendere e cade nella banalità dell’abitudine da trascorrere in novanta minuti di recupero. Monotonia rotta dalle chiacchierate con Sarri, con Milinkovic, con l’arbitro probabilmente anche con se stessi – chissà che qualcuno voglia davvero ascoltarlo. Quando non parla calcia, con l’imprecisione di cui svolge il compitino per poter tornare alla sua reale passione: la riflessione filosofica sulle seccature della vita. (Dal 64’ Basic – 6: cresce il rimpianto di non vederlo più spesso e più a lungo in campo. Il potenziale è ottimo, il momento di crescita purtroppo sbagliato).
Felipe Anderson – 5: per ogni giornata che avrebbe dovuto trascorrere seduto in panchina accumula in realtà minutaggio di ansia e stress psicofisico che gravano sulla già precaria condizione. Eppure Sarri pare incapace di sostituirlo, così come di recuperarlo. Solo l’espulsione di Patric lo toglie dal campo, ma sembra più un destino inevitabile che una scelta data dal libero arbitrio – una profezia di sventura. (Dal 58’ Radu – 6: fa meglio di Patric ed è ben magra consolazione, spinge nei minuti finali della partita e offre – nonostante l’età e la forma dovuta ad un impiego nullo – maggiori sicurezze del suo compagno di reparto).
Immobile – 6.5: il voto è più ossequioso che relativo all’effettiva prestazione. Sia in ogni caso scritto che Immobile per primo ha segnato il gol della disperata speranza, onore al merito della leggenda laziale. Però pure lui sbaglia, tanto e male – nulla può aggiungere da solo, chiaramente, tuttavia è l’unico a poter togliere la Lazio da questa drammatica situazione.
Pedro – 6.5: la Carrà non potrebbe scrivere per lui canzone più bella di quella che lui interpreta ad ogni partita laziale. Qualunque sia il suo reale pensiero sulla Lazio, sull’ambiente e sul mister Sarri lo nasconde bene sotto una professionalità splendente, un gol meraviglioso e una grinta unica.
Sarri – 5: la sua testardaggine è croce e delizia di questa squadra, di cui lui mostra i limiti evidentissimi e di cui lui ha, contemporaneamente, un concetto di divertimento altissimo e purissimo. E comunque non è evidentemente la sua squadra, che dovrà anzi smantellare e ricostruire il prima possibile, per evitare la perdita di fiducia e il disamore totale.