di Arianna MICHETTONI

Li ricordate i tre parametri di valutazione “lotitiana”? Prima di una qualsiasi discussione tecnica, prima dell’adattabilità tattica, prima ancora dell’apporto di entusiasmo e di rinforzo, la certificazione di qualità era data dal rispetto della potenzialità atletico-agonistica, della moralità e della compatibilità economico-finanziaria.




Fa sorridere, oggi, il riferimento alla moralità: se gli altri due precetti citati trovano decisa applicazione nell’analisi costi-benefici di economica derivazione, la morale è un concetto stantio ed ingiallito da una spessa patina di polvere e di tempo inesorabilmente passato.

Nulla è più a-morale, infatti, del calcio di oggi: un rovescio giocato non sul campo ma sui bilanci – tutti, o quasi, evidenziati in deliranti passivi ed esempi di massacri monetari dovuti non ad una cattiva gestione, ma ad una totale anarchia entropica.

Il baricentro del termine gara si sposta e trova un nuovo equilibrio: non più fermo sul campionato e sulle classifiche, l’attenzione si sposta alle centinaia di milioni di euro (e tutto ciò che ne deriva, soprattutto una smorfia nauseabonda) di debiti, conquistati come si conquistano le medaglie di de-merito, sottraendo il valore dell’onestà, della correttezza e, più genericamente, del realismo pragmatico che fa intravedere il punto di non ritorno.

Poco importa: società virtualmente fallite, irreversibilmente compromesse, riescono ancora a tentare il rilancio (un bluff pokeristico) con manovre di distrazione di massa – la Super Lega, la nuova formula della Coppa Italia, l’annuncio di Mourinho sulla panchina della Roma dalla prossima stagione.

Snellendo la complessità di questo contesto ad una più semplice considerazione, il minimo fattore comune è uno soltanto: il sacrificio dell’essenza calcio sull’altare dello spettacolo consumistico. E il capitalismo carnefice fa vittima, questa volta, il sogno: l’illusione della ribalta di un destino avverso, una condizione di disparità che chiunque avrebbe potuto vincere e che invece, ora, sconfigge chiunque.

È spettacolo consumistico anche il ritorno dello “Special One”: descrizione della “distrazione di massa”, in un solo giorno ha già focalizzato le luci morbose di un’industria calcistica che fa del cannibalismo il suo nutrimento quotidiano. Fonseca, l’attuale allenatore giallorosso, è il primo immolato sull’altare della falsità di un sistema che rende vano – se non meramente modaiolo – qualsiasi sacrificio. Delegittimato da una squadra che “verrà studiata” da Mourinho stesso (con l’intenzione, dichiarata, di un progetto a sua immagine e somiglianza – retaggio di un’autoidolatria diffusa), screditato agli occhi dei tifosi, svalutato all’interno di un mercato che dà e toglie in un cortocircuito tra incoerenza e velocità. Se ne va, Paulo, senza avere la possibilità di commentare il dato più importante evinto dal suo addio: “Sarà interessante vedere che tipo di budget verrà assegnato a Mourinho nel suo nuovo lavoro alla Roma”. Il club ha riportato una perdita di 204 milioni di euro nella stagione 2019/20, ha un debito finanziario di 318 milioni di euro, un debito di trasferimento di 191 milioni di euro e ha richiesto 210 milioni di euro di capitale dai proprietari negli ultimi due anni” (fonte: Swiss Ramble). Eppure, se ne va con una – forse confortante – consapevolezza: Mourinho alla Roma non potrà verosimilmente permettersi alcun calciomercato di pregio. Già oggi, il monte-ingaggi lordo del club ammonta a 112 milioni, assorbendo i tre quarti del fatturato atteso.

Poco importa si sia da tempo, e da infinite situazioni nel mezzo, precipitati nel baratro della slealtà agonistica. Poco importa insomma il criterio di uguaglianza e di pari opportunità manchi di essere applicato ovunque: oltre la riflessione etica e sulla correttezza del sistema, si può teorizzare sulla disciplina economica che è il pilastro dell’esistenza dell’uomo medio. L’aver citato l’analisi costi-benefici ha introdotto l’approfondimento che manca di essere menzionato negli articoli sensazionalistici che si specchiano di redazione in redazione. Ovvero: l’obiettivo è verificare se i benefici derivanti dall’implementazione del progetto – Mourinho nuovo allenatore della AS Roma – superino i costi necessari alla sua realizzazione – il suo ingaggio, che sarà di 7 milioni di euro netti a stagione, per cui peserà a bilancio per 9,17 milioni.

La metodologia è pertanto orientata alla quantificazione in termini monetari delle grandezze di costo e beneficio, siano esse direttamente desumibili dal mercato e/o provenienti da
effetti che sfuggono alle regole di domanda e offerta.

La società giallorossa ha chiuso l’esercizio 2019/2020 con un fatturato di appena 141 milioni, in crollo verticale dai 232 milioni del precedente. Per quest’anno, i ricavi sono stimati in area 150 milioni. E le perdite sono state di 204 milioni, le più alte in Europa – condizione tuttavia insufficiente a dichiararne il fallimento, per quanto annunciato nel suo senso più ampio di obiettivi stagionali.

L’indebitamento finanziario netto al 31 dicembre 2020 si attestava a 248 milioni, più di quanto la società valga in borsa. A proposito di borsa: è utile far riferimento alle azioni giallorosse, che hanno chiuso la seduta a poco meno di 32 centesimi, in rialzo del 21% su base giornaliera. In un solo giorno, il club capitolino ha visto salire il proprio valore a Piazza Affari di 34 milioni di euro. Potere mediatico di un annuncio lanciato via Instagram, operazione di marketing decisamente in linea con i paradigmi di business attuali – proprio quelli basati sull’apparenza di un social dai contenuti “filtrati”, ovvero abbelliti ad arte.

Un piano di comunicazione dettagliato, che non ha l’obiettivo di (ri)conquistare il tifoso – sia mai la strategia metta al centro la componente emotiva e passionale! – quanto i ricavi commerciali, che incidono per appena il 4% del fatturato. Le stesse sponsorizzazioni si fermano a poco più del 12%, 17,4 milioni di euro nella stagione scorsa.

Sepolta la speranza di una competizione da disputarsi in novanta minuti, morta dall’aver sostituito la fantasia del centroavanti alla fantasia dell’interpretazione finanziaria, i tempi di questa agonia si allungano fino ad annullare qualsiasi parvenza di recupero che anticipa di una manciata di secondi la fine. È una partita allo sfinimento: perde chi crolla e, più verosimilmente, perde chi viene fatto crollare da una spinta non sanzionata.

È l’industria calcio, bellezza.



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