di Emiliano STORACE

Un uomo d’altri tempi, con un fisico mingherlino ma con un cervello sopraffino. Un cervello che usava tanto in campo quanto fuori, riuscendo a resistere alle delusioni ed alla sfiducia che lo circondavano, con la calma e l’intelligenza dei veri uomini.




Ovunque abbia giocato, Mario Frustalupi è sempre stato apprezzato nel tempo, un po’ come il vino buono dove il secondo sorso è meglio del primo ed il terzo meglio del secondo. Come quando fece un provino per la Lazio all’età di 10 anni ed il tecnico Bernardini gli disse di ripassare in futuro, perché troppo piccolo e fragile. Aveva ragione. Di li a poco lo ritroverà come giocatore nella Sampdoria, la squadra che lo fece uomo e calciatore di alto livello.

Poi la ribalta, l’Inter, in quegli anni una delle squadre più forti de mondo. Il primo scudettodella sua carriera, la finale di Coppa dei Campioni persa contro l’Ajax e la nazionale. A questo si contrapponeva però il dualismo con Suarez e Mazzola, le tante panchine e soprattutto l’appellativo di vecchio, affibbiatogli dai senatori della squadra perché a 30 anni nel 1972, di solito si era già avviati sul viale del tramonto. Non Mario però, perché nel suo corpo e nella sua testa si sentiva ancora un campione. Così si apre all’improvviso un altro capitolo della sua vita, un capitolo fatto di sfide impossibili ma ricco di gloria. Arriva la Lazio, un’occasione nuova in una squadra di uomini veri come lui.

Con la sua maestria e con il suo carattere Frustalupi guida la Lazio al primo scudetto della sua storia, instaurando con il tecnico Maestrelli una sintonia ed un rispetto reciproco. La sua ironia gli consente di spegnere i continui contrasti tra i vari clan della squadra capitolina, riuscendo a creare intorno a lui quella stima e quella fiducia che forse non aveva ricevuto in tutta la sua vita. Questo gli permette di aprire il terzo capitolo della sua carriera, a cui neanche lui aveva mai creduto di arrivare. Nel 1975 approda al Cesena, provinciale al secondo anno in serie A. La prende per mano portandola al sesto posto in campionato ed alla storica qualificazione in Coppa UEFA. Un altro record per l’uomo infinito.

Ad ottobre del 1977 il suo presente si chiama Pistoiese. Il fisico comincia a fare i capricci ma la testa e’ ancora lucida. Gli capita così di riuscire nell’ennesimo miracolo, portando gli arancioni in serie A per la prima ed unica volta nella loro storia. Si ritrova a 38 anni, in un caldo settembre del 1980, ancora capitano ed ancora in serie A. Il vecchio, il sottovalutato, era ancora li in prima linea con il coraggio di sempre. La maledizione che accompagna però ogni uomo ed ogni storia fantastica, gli toglie la vita nella Pasqua del 1990 in un tragico incidente stradale. In silenzio, così come era arrivato, se ne andò.






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