di Arianna MICHETTONI

Le pagelle biancazzurre della vittoria, sofferta e importantissima, della Lazio all’Olimpico contro lo Spezia.

REINA – 6.5: “Dai raga, pronti a risalire”. La china, la testa, l’orgoglio – quello che Pepe non dice, difendendo la porta, in una posizione di privilegio tale da essere primo spettatore della confusione biancazzurra. Abile nello smanacciare via i molteplici tentativi spezzini – l’ironia è immediata ma destinata al post-gara – ancor più abile nell’infondere, oltre i limiti del possibile, sicurezza nei suoi. I primi 45 minuti quasi esauriscono il suo impegno; la ripresa sembra più semplice e ben gestita fino al 73’, minuto del pareggio di Verdi. Da ultimo uomo è il primo che tenta di impostare una ripartenza ordinata, dettandone persino i tempi. La sua posa più efficace: al limite dell’area, palmi sulle ginocchia, corpo proteso in avanti – in proiezione di attacco, anche lui.

MARUSIC – 6,5: Probabilmente fuori ruolo, sicuramente fuori tempo – nel primo – per aiutare la sua squadra. Ma se Inzaghi lo arretra sulla linea difensiva un motovo ci sarà pure. Tutta la Lazio gira male, gioca male, vero: mancano però le sue incursioni, i suoi cross, i suoi movimenti a contrastare un avversario schierato tanto bene in campo quanto padrone degli spazi. Non per colpa sua tuttavia. Sofferenza accentuata nei minuti finali del secondo tempo quando la Lazio, sull’1 a 1 e una classifica che quasi la obbliga alla vittoria, si affanna alla ricerca dell’azione del vantaggio. Non vi partecipa direttamente, ma lo stare in campo lo rende uno dei protagonisti: il 2-1 alla fine arriva, per lui e per i suoi compagni.

ACERBI – 7: La somma di tutte le prestazioni avute con la Lazio restituisce, con approssimativa certezza, un numero primo: divisibile soltanto per sé stesso e un po’ solo, come la solitudine narrata in un celeberrimo titolo. La difesa è sua, e sue sono le migliori e più ordinate letture difensive. Non manca, al solito, di spirito propositivo: sarebbe finito sul taccuino dei marcatori se l’allineamento cosmico Correa-Buon Senso si fosse verificato – ma questa è un’altra storia (che sarebbe stato bello raccontare).

RADU – 7: L’onore della 402ª presenza oltrepassa la sua persona e finisce sul campo, su ogni pallone giocato. È determinato, grintoso, lucido nel primo tempo e comunque composto nel secondo anche quando la Lazio, nell’ultimo quarto d’ora, perde il vantaggio e l’identità. Lui poco può se non contribuire alla ricerca di ordine – seppur la Lazio insegni, più di ogni altra circostanza, che è dal caos che nascono le stelle danzanti.

LAZZARI – 6: Corsa e poco altro, e un gol che è più premio di consolazione per Correa che effettivo merito di Manuel. Il primo tempo scivola via come lui scivola sulla fascia, senza produrre nulla di concreto; va meglio nella ripresa, ma i 90 minuti giocati non meritano neanche il paragone alle sue migliori prestazioni. Nota di demerito e mezzo punto in meno, tutto ad una manciata di secondi dalla fine: reazione più che scomposta che causa la sua espulsione (che sarà pesantemente punita).

MILINKOVIC – 6.5: Il Buon Sergej è sinonimo di insostituibilità. È sinonimo di centrocampo biancazzurro. È sinonimo di chiarezza e lucidità e un pizzico di sfortuna per palloni che non prendono il giusto impatto o il giusto giro. Così è il racconto della sua prestazione: alla sua sostituzione corrisponde il pareggio dello Spezia. (Dal 73’ AKPA AKPRO – 6: il suo ingresso è per garantire contenimento a centrocampo, si ritrova a partecipare alla sofferta vittoria laziale).

LEIVA – 6.5: Non è ancora quel Lucas, IL Lucas, quell’immagine definita e totalizzante di centrocampista-benedizione. È allora un Lucas di transizione, che sta nel mezzo, tra quella definizione di “senza infamia e senza lode” che non soddisfa e non rammarica, mentre, ad ogni suo movimento, la reazione di quel che avrebbe potuto essere viene sostituita da quello che, attualmente, è. Sostituita pure da CATALDI, al 77’. (Dal 77’ CATALDI – 6.5: La Lazio ha vinto e tanto basta. Tanto basta anche per applaudire al modo in cui, subendo fallo, fa terminare la partita).

PEREIRA – 6.5: Si autocondanna alla sostituzione rimediando un giallo al 30’ del primo tempo. Ed è un peccato, perché al crescere del minutaggio cresce anche la bontà della sua prestazione. Il suo dribbling fa rimpiangere il suo quasi certo addio a fine stagione, l’errore sull’appoggio che ne segue annulla immediatamente il rimpianto. Nota a margine: avrebbe dovuto giocare di più. Non oggi, in ogni caso. (Dal 52’ LUIS ALBERTO – 7: La Lazio ha un problema di dipendenza. La sua sostanza è talmente magica da consentirgli di giocare contro ogni pronostico. Accumula minuti da capitano di questa squadra che, a volte, ricorda proprio il trucco di un prestigiatore. È Luis Alberto, quello che divide la partita a metà facendo passare degli enormi coltelli tra i due blocchi).

LULIC – 5.5: La testa forse è già lì, al suo addio annunciato, alla nostalgia canaglia. Si è perso sul viale dei ricordi e non trova la strada per la partita, che la Lazio nel complessivo gioca comunque male – e lui, senza peccare di eccessivo giudizio, peggio. (Dal 52’ FARES 6.5: È facile fare meglio del Lulic di oggi. Lui ci riesce bene e con il pregio di non strafare per non accentuare la differenza. Piuttosto la consapevolezza di esserci e di saper intervenire).

CORREA – 5.5: Corre(v)a via, per quanto misero e meschino questo gioco di parole sia. Correa corre, corre per non si sa dove, però corre – e fin qui, benino. La direzione però è tanto importante quanto la corsa: uno deve conoscerla, prima o poi, la traiettoria del suo destino. Dove finirà il pallone? Ecco: certamente non in porta. Insomma, per un ruolo di attacco, non segnare è fallire. Fallisce la sua partita interamente: espulso per doppia ammonizione, la sua assenza è il momento di riflessione di un rapporto in crisi – quasi necessaria.

IMMOBILE – 6: È più facile spezzare un atomo che privarsi di Ciro Immobile: la traduzione immediata di un pensiero ricorrente nella mente tattica di Inzaghi. Lui le gioca tutte, in una collezione di gettoni di prestazione che si alternano tra lucidi ed opachi, nuovi e passati di mano in mano. Sono lì, impilati dalle sapienti mani di Inzaghi in attesa che il riverbero di un tiro di Ciro le faccia cadere, mescolandole tutte, così da far cessare la distinzione tra reti segnate e partite giocate. (Dal 73’ CAICEDO 7: miglior cambio di Inzaghi. L’intuizione del suo ingresso doveva forse essere anticipata di qualche minuto, ma poco importa: entra e segna il gol vittoria della Lazio. Un racconto non banale: si accolla la partita, la squadra e la responsabilità di un calcio di rigore descritto come rinascita).

ALL. Simone Inzaghi – 7: Fa la formazione affidandosi alla sua memoria e ad immagini che più di altre sono fisse dietro le sue palpebre. Lui chiude gli occhi e la sua Lazio è lì, pronta ad essere schierata in campo. Eppure i risultati gli danno ragione, centra il record delle otto vittorie casalinghe consecutive, ed anche oggi – con gli azzardi delle sostituzioni pesanti – riesce a vincere una partita difficilissima, recuperando una posizione (con tre punti ancora da assegnare). Merito del suo sogno, lui che, da buon sognatore, non si è mai arreso – e continuerà… con un rinnovo annunciato.

 

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