di Daniela BONFA’

Il derby Lazio-Roma si sa, per un tifoso, non è una partita come le altre, ma è la sfida delle sfide.

Emozione, ansia, aspettative, tutto si mescola nel cuore di chi tifa e si prepara al meglio per affrontare la giornata, con la consapevolezza che potrà regalare una grandissima gioia o una cocente delusione. Ma si sa, il bello del calcio è anche questo, pregustarsi la vittoria, rabbrividire al pensiero di una sconfitta, ma quel che conta è emozionarsi, sentirsi vivi, partecipare con tutti se stessi a quello che dovrebbe comunque essere un grande spettacolo che unisce. Perché la vita è più bella se si gioisce insieme, ed è meno brutta se si soffre in compagnia. Perché la vita è comunque vita.

Ma non c’è partita che possa diventare più importante della vita stessa, la vita di una persona, di una persona come me, come te che scrivi su muri e social, come tuo padre, come tuo figlio, come tuo nonno, la vita di ognuno di noi vale più di ogni partita, vale di più dei colori di una squadra, vale di più dell’appartenenza ad una bandiera.

E se capita che un tifoso, che è anche un padre, che è anche un figlio, che è anche un fratello, che è anche un marito, perde la vita perché stava vedendo una partita e qualcuno ha deciso di sparare un razzo, allora il risultato non conta più, la squadra non conta più, la fede calcistica non conta più, i colori della bandiera non contano più, ma conta solo l’uomo e la sua memoria.

Quando quell’uomo non c’è più, perchè un razzo l’ha ucciso, allora la vita non è più così bella per chi rimane, per quelli che amavano chi l’ha persa quella vita, solo perché era lì, seduto per caso in quel posto, a tifare per la sua squadra. Negli anni il dolore non lenisce, anzi aumenta, perché ogni nuovo giorno è un giorno in cui quel papà, quel marito, quel fratello, quel figlio non è più stato accanto alla persona che amava e, allora, vien da chiedersi se quel vuoto così enorme che è stato lasciato possa essere in qualche modo riempito. La risposta è solo una: NO! Nessuno potrà mai colmare quel vuoto, niente potrà mai ripagare quella famiglia di una perdita così grande, nulla potrà restituire un padre a quei bambini ormai uomini e orfani da quarant’anni, non c’è cosa che potrài esser come prima.

Ma se a tutto questo aggiungiamo la povertà d’animo di chi quel dolore lo rinnova, lo accresce, lo mortifica, lo sbeffeggia imbrattando muri e social con delle scritte vergognose, allora quel “NO” diventa ancora più grande… Tutto questo non può proprio essere accettato in una società civile! E sai perché, tu che scrivi? Perché quel giorno allo stadio saresti potuto esserci tu al posto di quell’uomo, saresti potuto essere tu quell’orfano, quel fratello, quella vedova a cui hanno portato via un pezzo di cuore, tu che oggi imbratti muri e social con le “solite” scritte infamanti. Ma se non sei in grado di capire questo, se non sei in grado di metterti nei panni dell’altro, allora tu non sei neanche nel diritto di tifare, ma soprattutto non sei in diritto di parlare e di scrivere… 10… 100… 1000…10000… 100000… SIAMO TUTTI CON PAPARELLI!

Pronti a portare per sempre in alto la memoria di quell’uomo che a soli trentatre anni è stato ucciso da un razzo. Che non ha potuto veder crescere i suoi figli, nascere i suoi nipotini e invecchiare con sua moglie, ma che ora merita di riposare in pace nell’alto dei cieli biancazzurri. Che merita il rispetto delle tifoserie di ogni colore, siano esse laziale o romanista. E sai perché, tu che scrivi? Perché ogni tifoso è prima di tutto un uomo, un uomo che ha il diritto di vivere, e che merita di essere felice.

Nel nome di Vincenzo Paparelli e nel culto della sua memoria, allora, bisognerebbe unirsi senza se e senza ma, laziali e romanisti, nel rispetto di chi non c’è più, ma anche nel rispetto di chi resta, nasce e cresce. Nel suo nome, con il suo cognome e con una storia triste, da non dimenticare mai e da onorare per sempre.

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