di Emiliano FOGLIA 

Per una volta come direttore editoriale di “1900 History” (blog del Lazio Museum) voglio lasciare spazio ai sentimenti personali, raccontando un frammento della mia lazialita’ adolescenziale. Correva l’estate del 1982, ed io ero un bambino di 12 anni che già da tempo chiedeva ai suoi genitori l’abbonamento della S.S. Lazio. Mio padre, da sempre tesserato, si era convinto di regalarmi un posto accanto a lui allo stadio Olimpico. Papà mi portò a Via Col di Lana 8 (quartiere Prati), dove ci aspettava nella sede della Lazio Antonio Sbardella, amico di famiglia e direttore sportivo biancoceleste, il quale ci affidò alla segretaria che si occupava della sottoscrizione degli abbonamenti. Sbardella ci consigliò due centralissimi posti in tribuna Tevere, in prossimità della linea mediana del campo. Uscimmo dalla sede ed io avevo toccato il cielo con un dito perché avevo finalmente tra le mani ciò che sognavo. Era l’abbonamento nella formula “aquilotto” (riservata ai bambini), con la grafica a bande orizzontali celeste verde e celeste che presentava il nuovo emblema sociale: la leggendaria aquila stilizzata. Nella parte inferiore campeggiava il nuovo sponsor ufficiale: la Sèleco. Per la prima volta nella storia della Lazio la tessera si presentava plastificata. Iniziò il campionato ed il mio equipaggiamento da tifoso era sempre lo stesso: tuta, sciarpa, bandiera e binocolo. Come piccolo tifoso abbonato coltivavo un altro sogno, quello di diventare un giorno il portiere della “mia” Lazio. Avevo iniziato da poco la scuola calcio (NAGC) alla Fortitudo, storica compagine cittadina. Appena mi presentai al mister Armando Trillò (figura mitologica del calcio romano) gli dissi che avrei voluto fare il portiere. La passione di parare l’avevo ereditata da mio padre, che da ragazzo aveva difeso la porta della squadra del “Chinotto Neri”. Nelle prime partite di campionato seguivo con attenzione l’estremo difensore biancoceleste Maurizio Moscatelli, eletto come miglior portiere della Serie B della stagione 1979/80, nelle file della Pistoiese. Moscatelli, purtroppo (anche a causa di un grave infortunio), non si dimostrò all’altezza della sua fama ed il suo posto tra i pali venne preso a sorpresa da un giovane romano 23enne (ex Primavera della Roma), un certo Fernando Orsi scovato nel Parma, proprio da Sbardella. La partita d’esordio allo stadio Olimpico di “Nando” fu Lazio-Cremonese del 10 ottobre 1982. Ricordo perfettamente quel giorno. L’altoparlante dell’Olimpico annunciò in formazione la conferma di Orsi, che già si era disimpegnato molto bene al suo esordio con la Lazio nella trasferta vittoriosa di San Benedetto del Tronto (0-1) la domenica precedente. Era noto un trascorso giovanile giallorosso del promettente portiere, ma tutto passava quasi inosservato, viste le ottime prestazioni di Orsi. Con il mio binocolo me lo studiai dalla tribuna per tutta la gara. Orsi, dalla folta chioma bionda, ricordava molto la capigliatura di Angelo Sotgiu dei Ricchi e Poveri. Il nuovo portiere della Lazio mi piacque immediatamente e diventò subito mio idolo. Esteticamente era diverso dai portieri precedenti della Lazio: Pulici, Garella, Cacciatori e Moscatelli, tutti scuri di capelli. Orsi era decisamente più bello. La Lazio vinse con la Cremonese per 1-0 e Nando disputò una partita di ordinaria amministrazione. Dal quel giorno in poi avevo solo un desiderio nella mia testa: volevo essere come Fernando Orsi. Sogni di bambino con l’aquila nel cuore.

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