di Fabio BELLI
Mettiamo le carte in tavola, senza preamboli: in questi mesi ci siamo fatti tutti una domanda. Questa domanda. Perché, perché tutti sembrano avercela con la Lazio? Nell’epoca in cui i social network sono un termometro del consenso incredibilmente più affidabile di ogni sondaggio, la schiera di quelli che oggi vengono comunemente chiamati “haters” è aumentata a dismisura per quanto riguarda i commenti sulle vicende biancazzurre.
Esatto, non detrattori, non critici, nemmeno il caro, vecchio sfottò che, in fondo, non deve mai mancare. Stiamo parlando di haters, odiatori sul web che, a prescindere dai fatti positivi o negativi, tendono a demolire la vittima prescelta. Prima di addentrarci nell’analisi in questione facciamo una doverosa premessa: il vittimismo non si addice a un club che in 120 anni di storia ne ha passate di incredibili e che ora si troverà a commentare una stagione con un’altra coppa in bacheca e, con ogni probabilità, la Champions da disputare 13 anni dopo l’autunno 2007, ultimo giro nella fase a gironi. Non si tratta di piagnucolare, di dire “Perchéééé tutti ce l’hanno con noi, tapini e disperati!” Si tratta di dire: “Perché ce l’hanno con noi?” in tono interrogativo e analitico, perché questo 2019/20 ha fatto segnare vette mai toccate prima nell’antilazialità che una volta apparteneva solo ai rivali cittadini. Cioè coloro verso i quali neanche noi siamo mai stati teneri, non facciamo gli angioletti.
EFFETTO LEICESTER UN CAVOLO – Cominciamo a dire che attorno alla Lazio non si è mai creato l’effetto Leicester: nonostante tutta Italia si lamentasse della monotonia del dominio juventino, l’idea che la Lazio potesse afferrare il tricolore causava sfoghi sulla pelle simili a quelli di un rospo delle paludi alla maggioranza degli “amici sportivi”. La verità è che in Italia le “squadre simpatia” non esistono: nel Paese dei mille campanili il vincitore suscita invidia e solo i perdenti sono simpatici. E’ accaduto anche ad altri e se ci fossero stati i social probabilmente ci si sarebbe resi conto che, ai loro tempi, anche il Verona di Bagnoli e il Cagliari di Riva venivano ricoperti di insulti.
STATE SEMPRE A PENSA’ A NOI – L’abbiamo premesso e lo ribadiamo. Gli “altri” di questa città non contano in questo ragionamento. Come l’antiromanismo è un sentimento nobile per ogni laziale, così è anche viceversa. Sono spuntati video, maledizioni, file audio, sputi e insulti vari: noi non siamo ipocriti. Godere delle disgrazie altrui ogni tanto fa allegria e, parafrasando Rat-Man, qui con la Roma c’è da ridere per anni. Piuttosto, vi preghiamo in ginocchio, finiamola con il nauseabondo, ipocrita, falso e anti-romano (perché i romani non sono così e davanti alla battuta non si tirano mai indietro) “State sempre a pensa’ a noi”. In questa stagione i social, le radio e le televisioni giallorosse hanno straboccato di commenti sulla Lazio, canzoncine, profezie, meme, è uscito fuori di tutto. L’odio sportivo è il sale del calcio, ma finiamola di fare i preti falsi e fingere di ignorarsi quando i fegati si ingrossano.
MILANO E VINCENZO – Ciò che invece stupisce è aver letto una rivalità così infiammata provenire da Milano. La sponda rossonera già l’anno scorso si era scatenata, fino a quando Correa in Coppa Italia non aveva fatto rimangiare la maglia di Acerbi sventolata da Bakayoko e Kessié. I rossoneri sembrano in particolare non sopportare il da loro soprannominato “Limone” Inzaghi (umorismo milanese doc, va detto) probabilmente da quando fece notare che il gol in schiacciata di Cutrone andava forse, ma forse, annullato. Per quanto riguarda l’Inter siamo invece ai confini della realtà: leggere su Twitter e su Facebook di una numerosa schiera di tifosi nerazzurri che sostiene la Juventus, dopo anni passati a scornarsi coi bianconeri, è francamente inspiegabile. Gli interisti antilaziali sono anche i più accaniti e tendono a tirare in ballo malattie e amenità varie: come si dice in gergo, dai nemici mi guardi dio, che dagli amici…
CHIEDIMI SE SONO FELICE – Gli juventini fanno un po’ tenerezza, i più forti e i più ricchi che cercano probabilmente di provare un’emozione fuori dalle pratiche autolesioniste. Otto Scudetti di fila e per sentire qualcosa anche col nono vai con gli insulti a Lotito virologo, Diaconale (non risparmiato neppure dopo i problemi di salute), Inzaghi, Luis Alberto, Milinkovic fino ad arrivare al nocciolinaro. Per provare una soddisfazione fingono di andare contro il sistema di potere di Lotito e, quando Diaconale ha ricordato chi ha vinto gli ultimi otto Scudetti in questo sistema tentacolare di potere, giù altri insulti. Ormai più informati di noi sulle vicende biancazzurre, si chiederanno in agosto perché mai la gente esulti in caso di loro eliminazione dalla Champions. Misteri della fede.
LOTITO NON MOLLARE – Così scrivevano coloro che si divertivano a seguire la disavventura Bielsa. Era il 2016, nel frattempo sono arrivate tre coppe, tante soddisfazioni, quest’anno probabilmente anche il tabù Champions finalmente cadrà. E allora? In molti dicono che è stato l’atteggiamento durante il lockdown a indisporre. “Hanno voluto riprendere a tutti i costi, eccoli serviti”. In questo si può tacciare la dirigenza laziale di ingenuità: essersi esposti per la ripresa, che era indispensabile a livello economico per tutti e 20 i club della Serie A (per qualcuno addirittura vitale, e non parliamo certo della Lazio), ha permesso ad altri di restare nelle retrovie tirando addirittura in mezzo i morti della pandemia. E così tutti gli insulti sono caduti su chi ha portato la bandiera del sistema. Inevitabile forse a livello gestionale, ma a livello mediatico non ne valeva la pena.
ARBITRO VENDUTO! – Sulla questione arbitrale, tirata fuori dalla Gazzetta dello Sport del presidente della Juventus, Cairo (non è un errore di battitura), meglio stendere un velo pietoso e ricordarsi cosa è accaduto due anni fa: di fronte ai gol di mano e ai Giacomelli di turno l’Italia si sganasciava dalle risate, il che ci porta di nuovo dritti al punto uno. L’Italia non è Paese da imprese alla Leicester, ma da mors tua vita mea.
FUOCO AMICO – Infine, c’è da dire che anche molti laziali hanno perso la calma, accecati dal sogno Scudetto già difficile di per sé, poi reso proibitivo dalla pandemia. Gli stessi che ora parlano di Scudetto buttato erano poi, in gran parte dei casi, quelli che ridevano in faccia a chi parlava di quarto posto ad agosto. La “rosa inadeguata” per la Champions lo è stata per lo Scudetto, ma alla rosa corta si deve aggiungere anche la differenza rispetto a chi paga 36 milioni di euro l’anno Ronaldo o spende 125 milioni di euro per i soli cartellini di Lukaku e Barella. Il peccato capitale sarebbe far passare la qualificazione in Champions League come un fallimento: perché per tre anni questo gruppo si è sentito sminuire ogni risultato ottenuto, Coppe comprese, perché “mancava la Champions”. Se ora arrivasse e si parlasse di stagione inadeguata, forse qualcuno potrebbe anche stancarsi e indicare la strada maestra per il futuro.