di Arianna MICHETTONI (foto © Antonio FRAIOLI)
Un ormai noto monologo insegna che la bellezza capita. È una roba che o ce l’hai o non ce l’hai, la bellezza accade, è un testa-o-croce che la vita – o il destino – lanciano a mezz’aria e poi riprendono al volo: la bellezza capita. Si vorrebbe, si potrebbe suggerire, invece, che tutto quello che non capita lo si può far accadere con maestria, astuzia e un pizzico di ribellione – dopotutto, però, questo non è un monologo: è Lazio – Verona.
Dei monologhi si apprezza lo stile incalzante, che a brevi pause alterna vivaci accelerazioni: a recitarlo è un uomo solo, questo è vero, ma l’azione è rivolta a tanti interpreti – e tanti interpreti hanno tanto pubblico, così quanti sono i presenti allo Stadio Olimpico per Lazio – Verona. Qui, insomma, la bellezza capita: capita una squadra pronta al secondo posto, in un recupero che è più il recupero di un sogno taciuto, allontanato, dimenticato al risveglio. Eppure la bellezza accade anche, se non capita: nelle giocate di Luis Alberto e nelle (ormai solite) fasi offensive di Ciro Immobile – uno che di monologhi, forse, ne sa qualcosa.
La partita si apre con una battaglia al valore: si combatte a centrocampo, mentre i due avversari misurano capacità calcistiche e retoriche – la forza di entrambe le compagini, una serie di risultati utili consecutivi. E la Lazio, apertamente sfidata – quasi con perentoria sfrontatezza – vacilla sotto i colpi veronesi: l’Hellas assalta bene i biancazzurri e assalta il gioco, lasciando la banda Inzaghi confusa e svelata nella sua narrativa – chissà quando il Verona ha urlato “l’assassino è il maggiordomo!”, costringendo la Lazio a cambiare movente e movimenti.
Il momento difficile per la prima squadra della capitale culmina al 16’: rischia stavolta di subire il gol – contrario delle aspettative di una stagione intera. Strakosha (e un po’ di fortuna) salvano i biancazzurri dal passivo, neutralizzando l’azione di Pessina. Un monologo, dopotutto, ha un carico di ansia da prestazione che la Lazio mal gestisce.
Migliora dal 20’: la Lazio cresce, il gioco si fa fluido, Immobile riesce (o ritorna) alle sue azioni: stavolta è bravo Silvestri, d’istinto, a negargli la gioia della ventiseiesima esultanza. Al 23’ Milinkovic viene abbattuto da Kumballa: giallo per il veronese è punizione mal gestita dalla Lazio, che ha però alzato il ritmo. Tanto squilibrio di posizioni – Lazio idealmente centrata nella zona difensiva del Verona – presta il fianco alle ripartenze: al 27’ è nuovamente brivido – e ci si accorge che sì, la bellezza capita e anche la bellezza di gioco, se non capita, non accade. Nonostante il buon momento Laziale – Immobile e Luis Alberto chiudono il primo tempo tra scongiuri mai vissuti neppure da Montecchi e Capuleti – non capita e accade bulla: le speranze del vantaggio colpiscono il palo – realmente, non solo metaforicamente.
Il secondo tempo ha la stessa apertura del primo: non per una teoria dell’eterno ritorno però, perché, secondo l’ormai noto monologo, tutti invecchieremo. Allora invecchiano le speranze del bel gioco Laziale, appassiscono, e con la nostalgia del passato ci si volta indietro a rivedere l’inizio: Verona più tonica, più grintosa; Lazio forse stanca o, verosimilmente, appesantita dal quel che potrebbe essere e, ad ogni minuto trascorso, un po’ meno sarà. Si ripete anche il palo: al 19’ della ripresa è di nuovo Luis Alberto a confrontarsi contro i millimetri di traiettoria del destino. Sette minuti dopo Inzaghi opera due cambi contemporaneamente: Lulic e Lazzari lasciano il campo per Jony e Marusic, sperando in nuove chiavi di lettura che riaccendano uno sguardo più che mai preoccupato o annoiato.
E nulla tuttavia ancora capita o accade: è prepotenza Verona contro una Lazio dal fiato cortissimo. I biancazzurri subiscono la solida impostazione dei veronesi che, seppur non ancora così vicini al vantaggio, tengono palla e smontano qualsiasi velleità Laziale.
Verona sì non ancora così vicino ma ormai ben avviato verso la porta difesa da Strakosha: il numero 1 salva su tiro di Borini al 40’.
È monologo Verona: la palla resta a loro seppur Milinkovic, al 43’, abbia avuto la possibilità di inventare un lieto fine. Che però non arriva neppure nei minuti di recupero: non serve battere tre calci d’angolo consecutivamente. Perché la bellezza capita, o ce l’hai o non ce l’hai: questa sera no.
IL TABELLINO
SERIE A
LAZIO-HELLAS VERONA 0-0
LAZIO (3-5-2): Strakosha; Patric, Acerbi, Radu; Lazzari (70′ Marusic), Milinkovic, Leiva, Luis Alberto, Lulic (70′ Jony); Caicedo, Immobile. A disp.: Proto, Guerrieri, Bastos, Luiz Felipe, Vavro, Minala, Parolo, Lukaku, A. Anderson, Adekanye. All.: Simone Inzaghi.
HELLAS VERONA (3-4-3): Silvestri; Rrahmani, Gunter, Kumbulla; Faraoni, Veloso, Pessina, Lazovic; Zaccagni, Verre (70′ Eysseric), Borini (89′ Dawidowicz). A disp.: Radunovic, Berardi, Adjapong, Bocchetti, Empereur, Dimarco, Lucas, Di Carmine, Pazzini, Stepinski. All.: Ivan Juric.
Arbitro: Rosario Abisso (sez. di Palermo)
Assistenti: Cecconi – Baccini
IV uomo: Manganiello
V.A.R.: Pairetto
A.V.A.R.: Fiorito
NOTE. Ammoniti: 23′ Kumbulla (V), 29′ Milinkovic (L), 77′ Jony (L), 80′ Radu (L), 86′ Rrahmani (V)
Recuperi: 1′ pt; 5′ st.