di Arianna MICHETTONI

È il “Blue Monday” e, per qualche bizzarra ed esterofila ragione, è la giornata più triste dell’anno. E cade di lunedì, come il perenne lunedì della nostra vita: il momento dei buoni propositi, dei mirabili obiettivi e dei cambiamenti radicali. Come se cambiare, poi, fosse triste; come se cambiare, poi, fosse la tristezza della perdita – di qualcosa, di qualcuno.




No, questa volta Lotito nulla può: non può “acchittarlo”, il “Blue Monday”. È giornata di attesa – anche solo attesa che passi, che arrivi il martedì, che torni il martedì e che torni la Lazio. Da “Blue Monday” a “Blue Tuesday”, in un filo idealmente teso sulla profondità esistenziale e l’equilibrista è ognuno di noi, sempre attento a spostare il peso, a dare il giusto peso, a soppesare – le undici vittorie consecutive, le provocazioni romaniste, le provocazioni laziali pure. È il peso dei laziali, leggeri come il volo di Olympia o macigni offensivi, nella duplice accezione del volo: librarsi o schiantarsi, sospesi nel vuoto e con le vertigini. Le stesse vertigini che ha il capogiro da vertice o il vuoto d’aria amoroso; la vertigine che per un attimo, uno soltanto, ti toglie da dove sei e ti restituisce a dove vorresti essere: al riparo, al sicuro, tra le braccia altrui. Al riparo, al sicuro, nell’abbraccio biancazzurro.




L’undici di Inzaghi si abbraccia spesso, non solo per un’esultanza ripetuta (cinque volte, nell’ultima partita). L’undici di Inzaghi si abbraccia al triplice fischio e fuori dal campo, ché l’abbraccio è un tocco creatore, un gesto tra Adamo e l’Eterno e, pure, un gesto tra l’allenatore e la sua squadra. E l’undici di Inzaghi, allora, ha una gestualità ripetuta: muove il passaggio per il compagno, muove la trama per l’attacco, muove la linea per la difesa. Muove la sua gente, soprattutto, muove il tifo e i sogni dei suoi sostenitori e muove gli obiettivi, spostandoli – anche gli obiettivi, a volte, si abbracciano.

E in un abbraccio vi è lo stesso rilascio di endorfine che l’amore e lo sport liberano nel corpo: così la Lazio diventa la chimica del benessere, dell’innamoramento. Perciò, nel giorno più triste dell’anno, la cura – se davvero ne esiste una – sono le persone, le persone biancazzurre. La cura è un “ciao, amore!” tra Ciro (Immobile) e Francesco (Acerbi) così ovvio da far credere che tutti siano l’amore di qualcuno, una forma di amore che è cieco, come è cieca la fortuna – altra entità benevolmente laziale. La Lazio, dunque, la fortuna e l’amore: per la fortuna che aiuta gli audaci, e l’audacia che sta nella passione – la passione della tifoseria la cui grande fortuna, adesso, è il poter vivere questo momento, proprio questo momento. È il “Blue Monday” e, per qualche bizzarra e lazialissima ragione, è la giornata più triste dell’anno: perché è un giorno di festa che sta per finire e che può continuare, creando però il ricordo di una contentezza perfetta – una grande impresa val bene una piccola sofferenza, dopotutto.






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