di Fabio BELLI

120 anni sono un traguardo, di testa di cuore e di sangue. Ma una storia non è mai un percorso rettilineo, non lo è mai LA storia, che non porta mai i suoi eventi da un punto A a un punto B ma costella il cammino di alti e bassi che possono far inciampare lungo la strada, ben prima di arrivare al traguardo.




E così i 120 della Lazio sono stati un turbinio di risalite straordinarie a fronte di cadute che avrebbero fatto stramazzare bestie mitologiche. L’aquila però vola più in alto anche grazie al contributo di figure silenziose, splendide ma al tempo stesso rimaste in disparte e andate via altrettanto in silenzio, quasi per non disturbare.

Nella prima metà degli anni Ottanta due fratelli gestiscono un’importante società di polizia privata, la Mondialpol, e provano a riportare in alto l’Orso grigio del calcio italiano, l’Alessandria. Ma le cose non funzionavano come sperato, difficile riportare una piccola piazza a buoni livelli in un Piemonte dominato dalla Juve e dal Toro. C’è la possibilità di lavorare a Roma in una piccola patria di grandi sentimenti: la Lazio che a un passo dalla scomparsa, pugnalata quasi a morte dalla CAF e poi ripresa per i capelli ma col peso di un handicap inusitato, può diventare l’approdo di una visione imprenditoriale di successo.




I due fratelli si chiamano Gianmarco e Giorgio Calleri: più dotato per le pubbliche relazioni il primo, più giovane, il più anziano osserva nell’ombra ma ci mette un’anima che serviva più che mai in quel momento. Un destino implacabile a soli 58 anni l’ha portato via ma quell’anima è rimasta fino alla fine, fino al passaggio di consegne ad altri due fratelli in uno di quegli incroci che rendono unica e inimitabile in termini assoluti la vicenda umana, prima ancora di quella sportiva, della Lazio.

Testimone idealmente passato con l’acquisto di Paul Gascoigne, operazione di calciomercato internazionale che fa pensare alla presenza del grande finanziere di cui si parla dietro le quinte da tempo. Ma anche alle spalle di Sergio Cragnotti c’è una passione che arde senza sbandieramenti: il fratello Giovanni, che lo stesso patron laziale ha ricordato spesso come il più appassionato della famiglia per i colori del cielo e per quella squadra che sognava di fare grande grazie alla visione proiettata verso il futuro del fratello. Ma il destino, più crudele e beffardo che mai, è sempre lì: Giovanni Cragnotti se ne va prematuramente nel 1993, senza poter vedere il compimento delle sue visioni e del lavoro del fratello che lascerà un segno indelebile nella storia della sua Amata.




Giorgio Calleri e Giovanni Cragnotti hanno segnato una svolta, alle spalle di fratelli che sono stati i presidenti che con Claudio Lotito chiudono una trilogia che ha cambiato la storia della Lazio. Trent’anni e oltre, dal 1986 a oggi, di campioni, successi e titoli (che da 2 sono diventati 16) che sono partiti da quel sogno che da Alessandria e dalle polverose stanze di un finanziere hanno risposto sì, lo voglio, alla domanda che portava a qualcosa di anche più sacro di un matrimonio: “Perché non ci compriamo la Lazio”? Il centoventesimo è anche per loro, è anche merito loro.

Da sinistra, Giorgio Calleri e Giovanni Cragnotti (foto Centro Studi Nove Gennaio Millenovecento)






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