di Arianna MICHETTONI (foto © Gian Domenico SALE)

La Lazio è un po’ come l’ultimo desiderio di un condannato a morte: lasci che venga espresso e realizzato e nel mentre, per una frazione di secondo, nella mente ti si accartoccia un pensiero tristissimo – “è davvero colpevole? è davvero meritevole di morire?”. In genere poi tutto si risolve in un’alzata di spalle e in un affidarsi ad un benevolo o malevolo destino, che è lui che decide, noi miseri umani ne subiamo solo la sorte.




Strakosha 7: davvero tutti conoscono la vicenda della volpe e dell’uva (che forse è acerba, più probabilmente Acerbi, chissà): per i primi 20’ il buon Thomas, alto com’è, tiene in equilibrio i dolcissimi acini che i felini detrattori già criticavano. Poi il disastro: cade tutto giù, uva e risultato – che pur salva nel primo tempo, per quanto un complessivo così pesante possa essere salvato. Nel secondo tempo è l’anima della squadra: il pareggio è anche (e soprattutto) suo.

Luiz Felipe 5.5: Tutta la difesa laziale – di cui il buon Luiz Felipe fa pienamente e felicemente parte – regge il suo precario disequilibrio sui rimpalli: a volte perdi, a volte eviti la sconfitta. Si immola sulla linea di porta (che sì, era fallo in attacco) ed è come la proposta di matrimonio tardiva ma risolutiva – sempre di inginocchiarsi si tratta.

Acerbi 5: banale il gioco di parole, ancor peggio la semantica legata al cognome, ci si può concedere, però, una riflessione: acerbi proprio non è il sinonimo di spariti – e già qui, allora, qualcosa non torna. Che lui faccia fatica a tornare è ormai noto e risaputo: il cuore c’è, manca la testa. E’ alla sessantesima partita con la Lazio: cosa abbia pensato nelle precedenti 59 non è dato saperlo, oggi c’è un pregevole esercizio d telepatia in atto.




Radu 6: fa quello che sa fare meglio: il ghigno rabbioso sui piedi e sulla faccia. Che nel primo tempo ha il retrogusto della disperazione, nel secondo l’espressione lungimirante di chi il pareggio lo aveva impresso sui tacchetti e con i tacchetti. Voto 5.5 (dal 34’ s.t. Caicedo: rompe gli equilibri in attacco – e non solo, il suo ingresso porta la squadra a rimodellarsi. Tutto è bene quel che finisce bene: è proprio dalle rotture, dalle crepe e dalle fessure che entra la luce.

Marusic 5: prende il posto di Lazzari che proprio non vuole alzarsi e camminare (giramenti di testa, con l’aria che tira…) e almeno lui corre, viene ammonito, partecipa al primo tempo disastroso, fa cose. Poi smette e viene sostituito da Patric (lui non è che faccia molto) e vede la sua squadra realizzare tre gol ad un’Atalanta apparentemente invincibile. Vertigini. (dal 1’ s.t. Patric 6.5: a Patricio Gil non manca nulla: è bello e con lui in campo la Lazio non ha mai perso. Fortuna e doti personali, tiene la fascia e va al supporto dell’attacco biancazzurro. Esce tra gli applausi, per lui il miglior risultato. Voto 6.5)

Milinkovic-Savic 6.5: chi ben comincia è a metà dell’opera, tanto basta per avere il più fatto: nel primo tempo è tra i migliori in campo – un concetto di assai ampio significato e immaginazione; nella ripresa tiene le redini del centrocampo e funziona pure in fase offensiva. Il voto è dovuto alla sua mimica imperturbabile, uguale dallo 0-3 al 3-3: Sergej ha visto e vede cose che noi umani non potremmo mai immaginare – tipo lo spogliatoio all’intervallo.

Parolo 4.5: 6 bello. E 6 stato anche tanto, tantissimo per questa Lazio. Perché si scrive al passato? La sensazione è che Marco Parolo non sia entrato in partita. Ed è un peccato, per il carisma e la presenza umana e calcistica che lui ha. Forse incredulo, forse distratto – come quando perdi le parole. (dal 1’ s.t. Cataldi 7: forse l’unico sbaglio di Inzaghi: il dubbio di un Danilo Cataldi titolare aleggia su questa partita. Poco importa: è lui a rovesciare le sorti dell’incontro. Amministra, imposta, gestisce.)




Luis Alberto 5.5: è un mago, e infatti sparisce per 45 minuti per poi riapparire nel secondo tempo. Cincischia a volte, ma dà l’impressione sia un prestigiatore intento a preparare il suo prossimo numero di magia – non per questa partita, per il futuro chissà. Insegna il trucco del mestiere al Papu Gomez, ma Luis Alberto ha una maestria tutta sua ed inimitabile.

Lulic 6: è il condottiero delle imprese impossibili della Lazio. Lui è il capitano a cui capitano le partite più impensabili, più incredibili, più memorabili. È anche lui in campo a recuperare un passivo pesantissimo, non di 3 gol, ma di tre macigni sulla coscienza calcistica della squadra. Ed espia le proprie colpe, insieme ai suoi compagni. Voto 6

Correa 7: ha un marchio di originalità che potrà forse essere copiato, ma mai uguagliato: il gol a 30’ dal rigore di Immobile su tiro a volo avrà tanti tentativi di imitazione, eppure resterà unico ed unicamente e per sempre legato a questa partita. Non potrà mai essere replicata quella speranza – o quella sensazione – che qualcosa stia per succedere, che è lì, più concreta di un’idea e meno tangibile di un sogno – il 2 a 3 è tutto quel che sta sospeso, nel mezzo, nell’attesa. Quella che è essa stessa piacere, per intenderci. E Correa piace e ci piace: voto 7.

Immobile 7.5: Immobile non sta: nella prima frazione di gioco fa quel che può con quel che ha – nulla, giustificato. Nel secondo tempo si inventa stratega e stringe un patto di alleanza con l’arbitro Rocchi, che assegna due rigori alla Lazio e, metaforicamente, la doppietta a Ciro il grande.

Inzaghi 6.5: se tutti avessero lo stesso spirito di sopravvivenza di Simone Inzaghi, forse questo sarebbe davvero il migliore degli universi possibili. Lui è come l’acqua che si modella intorno alla roccia, l’arbusto che si piega ma non si spezza, il tipo che con 2€ vince il jackpot. Un pareggio che è quasi una vittoria e che lascia impressa, negli occhi dei tifosi e dei calciatori, la nitida immagine del “se insisti e resisti raggiungi e conquisti”.






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