di Claudio CHIARINI
Spiegare cosa sia la Lazialità è impresa non facile. Tommaso Maestrelli, l’allenatore della banda scudetto del 1974, ha incarnato alla perfezione questo sentimento. Ma Renzo Nostini, olimpionico di scherma, nuotatore, rugbista, dirigente sportivo e imprenditore romano, è stato colui che meglio è riuscito a definirlo: «E’ più difficile descriverla che sentirla la Lazialità: è signorilità non di carattere esteriore, è cosa che si sente dentro, della quale ci si sente orgogliosi. E’ un messaggio che tocca i cuori, la mente, la sensibilità e ci innalza verso il cielo. E’ un messaggio di costume di vita e quindi incide nel comportamento quotidiano di ciascuno di noi. E’ importante dimostrarla in ogni occasione, nei campi di gioco e nella vita».
Per descriverne la portata, è necessario risalire alla fonte dalla quale è scaturito il sentimento della Lazialità, conoscerne le origini, individuare il primo baluardo di quella che è l’identità del Popolo Laziale: la Storia. La Società Podistica Lazio fu fondata il 9 gennaio dell’anno 1900 a Roma, in Piazza della Libertà nel Rione Prati, dal giovane sottufficiale dei Bersaglieri e atleta podista Luigi Bigiarelli e da otto suoi concittadini. Erano tutti romani. Esiste una mappa delle case in cui sono nati che offre la possibilità di respirare la Lazialità passeggiando per i vicoli della Capitale, calpestando i vetusti sampietrini e dissetandosi ai sopravvissuti nasoni.
La data del 9 gennaio 1900, tramandata di padre in figlio, rappresenta l’atto originario che discende da una tradizione antichissima, perché legato con un filo diretto alle insegne delle legioni romane: le Aquile, simbolo con cui Roma era riconosciuta in tutto il mondo. Le Aquile legionarie vennero istituite Caio Mario, sette volte Console di Roma, nel 104 a.C. Ogni Legione aveva la sua Aquila che era custodita e protetta a costo della vita dall’Aquilifero. La Legione la considerava sacra. Per il Popolo Laziale l’Aquila della Lazio è, insieme con le pietre dei Fori Romani e del Colosseo, uno dei legami tangibili rimasti tra la Roma repubblicana e imperiale e la Roma di oggi e di domani. Un legame indissolubile, come quello che vincola ogni Laziale al ricordo dei propri eroi: Luigi Bigiarelli, il Generale Giorgio Vaccaro, Tommaso Maestrelli, Luciano Re Cecconi, Vincenzo Paparelli, Gabriele Sandri, la Sora Lella Fabrizi, Aldo Donati, Umberto Lenzini, Silvio Piola, Roberto Lovati, Giorgio Chinaglia, Giuliano Fiorini, Felice Pulici, solo per citare i maggiori. Legami grazie ai quali lo sguardo nostalgico ad un passato sentito come mitico si unisce alla visione di un presente sempre fulgido, per quanto negativo possa a volte apparire, e vissuto sempre con l’orgoglio descritto dal motto: “Noi abbiamo già vinto nascendo Laziali”. Ma, al contempo, con quel disincanto che porta a festeggiare i seppur rari trionfi sportivi con moderazione.
“La più antica polisportiva romana”, è scolpito sulla targa affissa in Piazza della Libertà. “La prima squadra della Capitale” sentenzia la scritta all’interno dello spogliatoio della Lazio. Bigiarelli, seduto su quella panchina, pervaso dalla sua romanità, piantò il seme di un’idea ambiziosa e meravigliosa. Un’idea che infondeva nuova linfa al sentimento della romanità, permettendo a ogni sportivo romano di portarlo nel proprio cuore durante il gesto agonistico. In più lo attualizzava, rendendolo adottabile da ogni sportivo nel mondo che fosse pervaso da un identico sentimento. Così è nata la Lazialità. Così, in tutto il mondo, chi nasce Laziale, a qualsiasi razza o cultura egli appartenga, può essere accolto a far parte del Popolo Laziale.
Ecco perché la Lazialità è un sentimento universale che non può e non potrà mai essere infangato accostandolo al razzismo.
Per dare forma a quest’idea, a questo sentimento, Bigiarelli scelse con il cuore: scelse Lazio come nome, dal latino Latium, la Patria originaria, il territorio del Popolo dei latini i quali diedero vita alla Civiltà Latina e, in seguito, fondarono Roma; scelse l’aquila reale come emblema, simbolo della Città Eterna, divino perché sacro a Giove; scelse il bianco e l’azzurro come colori, ispirato dalla bandiera della Grecia, patria dello Sport e delle Olimpiadi.
Ecco perché Laziali si nasce. O in alternativa, come disse Giorgio Chinaglia, «Di Lazio ci si ammala inguaribilmente». Perché, come spiegò Felice Pulici, «La Lazio non è una squadra di calcio. La Lazio ti entra dentro, ti cattura, è lei che ti sceglie. E come i giovani figli di Sparta, attrae a se solo chi è disposto a soffrire. Perché quando c’è la Lazio in mezzo, non c’è mai nulla di facile».
(Fonte: Tuttosport del 15.05.2019)