di Arianna MICHETTONI

“Tutta Roma sia giallorossa”, dicono. Tutta, non nella parte che non ci è data sapere – come l’origine ignota del club 1927. Tutta, tra vicoli, strade, marciapiedi, palazzi; tutta, tra incroci e semafori.




Tutta. Nei suoi abitanti, che – c’è da scommettersi – tra la roma e Roma conoscono la netta, storica ed invalicabile differenza. Eppure, tutta. Che non importa se per alcuni il calcio sia giocato con una palla ovale, tutta ha quell’accezione totalizzante – come di un regime totalitario. Una campagna lanciata sui social dal direttore sportivo Monchi e subito accolta “per far capire al mondo che Roma tifa roma” – la minuscola è d’obbligo, in questo caso. Che dalla megalomania, nel concetto di mondo e di occhi del mondo, si rischia di essere travolti e schiacciati – come le azioni dei facinorosi romanisti verso un uomo solo, colpevole di tifare il Liverpool. È chiaro: quel che serve al mondo, o l’utilizzo che si fa degli occhi del mondo, è un repulisti – un rendere di nuovo pulito – il marchio roma. Perché trattasi di brand, di logiche di marketing e di mercato, perché c’è l’interesse economico da preservare – perché il club giallorosso, non sanzionato mediaticamente – gli ammonimenti sportivi, chissà! – ha necessità di riscoprirsi in prima serata nelle clip alla dajeromadajelupi pronunciato tutto d’un fiato dai passionali, calorosi sostenitori – giammai violenti, giammai. La roma chiede di mettere, alle finestre e ovunque si voglia, qualcosa di giallorosso. E la proposta, grazie a web e radio, fa il giro delle città. Tutta. Perché, loro dicono, c’è da rimontare – la direzione della rimonta, però, pare ambigua: rimontare nelle simpatie dell’opinione comune, che forse comincia a grattare la superficie di finto perbenismo del romanismo?




In tutta Roma, però, c’è qualcosa di più concreto di un risultato da ottenere con tre goal di scarto, qualcosa di vero, autentico, e perciò taciuto – per quel paradosso della verità, come la polvere, nascosta sotto un tappeto. In tutta Roma c’è una squadra, nata nel 1900 e perciò PRIMA SQUADRA DELLA CAPITALE, che a tre giornate dalla conclusione del campionato è in piena corsa per un posto Champions, riempie (finalmente!) lo stadio, mostra sul campo la bellezza dell’unità di intenti e la fierezza dello spirito di sacrificio – la lealtà sportiva nella sua essenza. E allora, tra quel tutta, uno squarcio di azzurro rivela con forza la parte di un tutto che non è. Assolutamente, non è: ché Roma tifa Lazio, per tradizione, che tutta Roma è biancazzurra, che sono i Laziali a dover mettere alle finestre e ovunque si voglia un simbolo, una bandiera, il colore dei propri padri e dei propri figli. I Laziali tutti, sì, tutti nella loro interezza e completezza, i laziali tutti e tutti i laziali accolgano questa proposta, e questa soltanto, nella sua giustizia e bontà: a partire da mercoledì e per tre domeniche teniamo esposti i colori della Lazio sulle inferriate e sui social un messaggio di condivisione lanciando l’hashtag #coloriamoromadibiancazzurro allegando foto, video o un entusiasmo partecipe e complice.




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