di Arianna MICHETTONI
Nella vita ho tifato sempre per chi perde. E poi sorrisi compiacenti e compiaciuti, pacche sulle spalle e di incoraggiamento, ammiccamenti perché, certo, la pena e la superiorità sono gli opposti che si attraggono. È moralmente piacevole, quasi un dovere degli spocchiosi, strizzare l’occhio al perdente – a tal punto che, se lo sconfitto si scrolla di dosso la falsa pietà, si rincara la dose del “ha perso la testa, non sa quel che dice – non sa quel che fa”. Così l’Inzaghi furioso e perdente è accolto dall’ipocrisia mediatica, dal sussiego dei conduttori impettiti che sì, lasciamo si sfoghi, lasciamo li conti proprio tutti gli errori sul campo: il mondo dello spettacolo ha sempre tifato per chi perde.




L’ (in)offensiva laziale elenca i torti – arbitrali e VARgognosi – come una preghiera con calendario alla mano: Roma-Lazio (concesso un penalty ai giallorossi che ancor oggi non è dato sapere se c’era oppure no, VAR non pervenuto), Lazio-Fiorentina (in pieno recupero Fabbri, al VAR, richiama l’arbitro Massa che, consultate le immagini, concede un rigore alla Fiorentina per un fallo – fallo? – di Caicedo su Pezzella; ora pro nobis), Lazio-Torino (Jack O’ Melly e l’induzione in tentazione: non vede un clamoroso fallo di mano in area di Iago Falque ma – miracolo santaluciano – dopo due minuti espelle Ciro Immobile per una presunta testata a Burdisso – talmente presunta che il giudice sportivo non squalifica Immobile per condotta violenta), Milan-Lazio (il gol di Cutrone che porta in vantaggio i rossoneri è segnato di mano – Miroslav Klose, qualcuno? – e la giustificazione sussurrata dagli arbitri, come un appello alla giustizia divina, riguarda il ritardo dell’arrivo delle immagini “chiare”; nel secondo tempo non viene fischiato un rigore per un’evidente trattenuta di Antonelli su Bastos), Lazio-Juve (negato alla Lazio un rigore nettissimo per fallo di Benatia su Lucas Leiva), Cagliari-Lazio (nel primo tempo è negato un rigore ai biancazzurri per fallo su Immobile, l’arbitro Guida non consulta nemmeno il VAR).




E se la destra sfoglia i giorni e i mesi, la sinistra tiene il conto dei punti perduti. Poi la matematica non è un’opinione, la classifica è opinabile, il calcio giocato è alla base delle teorie altrui (per cui nel giorno della morte verremo tutti citati nelle didascalie, nome-cognome-bar): se tra le prime sei c’è una squadra che può lamentarsi è la Lazio. Applauso, sipario.




E il bel gioco della Juventus, e il miracolo del Milan, e la sfortunata Lazio – ché mica c’è da unire i puntini, non è l’enigmistica, è la Serie A; nessuna definizione, come quando si andava giornaletto e matita alla mano dal caro di turno e gli si chiedeva se conoscesse la parola terminante in –enza. Coincidenza? La risposta degli anti complottisticomplottariscreanzati, come ci si può interrogare circa la regolarità del campionato! Malfidenza, allora: tanta, uguale tra la società e i tifosi per cui non c’erano incastri, e ci sono oggi incroci. Diffidenza, sì: verso Inzaghi e i suoi uomini (De Vrij ha firmato il pre-contratto con l’Inter, depistaggio bell’e buono), verso il modulo delle grandi occasioni, verso Ciro Immobile che va sui tacchi.






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