di Gian Luca MIGNOGNA

Come da tradizione l’ultimo derby Roma-Lazio, vinto sonoramente dai biancazzurri per 3 a 1, ha lasciato in eredità un’aspra coda di polemiche e veleni.




Negli ultimi giorni benpensanti e bacchettoni si sono dilettati a spendersi contro lo sfottò tutto laziale materializzatosi nei manichini giallorossi esposti al Colosseo, dimenticando che anni fa avvenne esattamente la stessa cosa a parti invertite al Quarticciolo ed al Quadraretto, ma soprattutto lasciando cadere nel nulla la “vera” problematica sorta il 30 aprile scorso. Ossia quella di chiedersi e chiarire se sia stato lecito o meno che la Roma abbia deciso di fregiare le proprie maglie con l’acronimo S.P.Q.R., in difetto di qualsivoglia autorizzazione dell’Amministrazione Comunale.




Il Sindaco di Roma, Virginia Raggi, ha pensato di poter liquidare la questione attraverso una nota postata sul proprio profilo di Facebook, con la quale il 5 maggio u.s. ha così testualmente esternato il proprio pensiero in merito: “Non sanno come far perdere tempo e denaro e lanciano polemiche surreali ogni giorno. Ora è la volta della sigla S.P.Q.R. che potrebbe essere oggetto addirittura di un’interrogazione urgente in Aula. I consiglieri d’opposizione farebbero bene a soffermarsi sullo studio delle leggi e ad evitare spreco di denaro pubblico costringendo l’Assemblea capitolina a riunirsi per parlare del nulla. La scritta S.P.Q.R. è un’espressione di uso comune e, per questo, non registrabile: tutti possono utilizzarla. S.P.Q.R. è una sigla che in tutto il mondo viene associata alla città di Roma, è una espressione della quale essere orgogliosi e sulla quale non andrebbero montate strumentalizzazioni politico-sportive. Lo ripetiamo da tempo: l’opposizione pensi a lavorare. Le “urgenze” sono altre. In ogni caso, abbiamo verificato se in passato sia mai stato registrato dall’Amministrazione Capitolina un “marchio” figurativo (che è cosa ben differente rispetto alla sigla S.P.Q.R.) con lo scudo e la scritta. Lo faremo noi. Beninteso che la scritta “S.P.Q.R.” è e resta patrimonio del mondo”.




La presa di posizione del Sindaco, tuttavia, non appare per nulla condivisibile. Non solo e non soltanto perché è rivolta esclusivamente all’opposizione politica in seno alle istituzioni comunali e non all’intera cittadinanza capitolina, che certamente ha più diritto di sapere se e come vengono utilizzati i propri simboli distintivi. Ma anche e soprattutto perché la vicenda presenta ragioni etico/morali e giuridico/normative che non possono e non debbono essere sottovalutate.

E’ di tutta evidenza come durante il derby della scorsa settimana il club giallorosso abbia inopinatamente messo su un’operazione mediatica, volta ad indurre spettatori e telespettatori ad identificare la Città di Roma con la Roma. Poteva farlo? La risposta è una sola… No!




Con riguardo all’aspetto etico/morale, perché a Roma esistono tantissimi tifosi laziali e di altri club che non possono essere pregiudicati e, ancor di più, perché esiste una maggioranza silenziosa che invero non intende affatto identificare con una semplice squadra di calcio, qualsiasi essa sia, la storia plurimillenaria della Capitale, il pregio della tradizione latina e la civiltà che gli antichi romani hanno diffuso in tutto il mondo.

Sotto l’aspetto giuridico/normativo, perché l’articolo 1 del Capo 1 dello Statuto di Roma Capitale stabilisce espressamente sub n° 6 che: “L’emblema di Roma Capitale è costituito da uno scudo di forma appuntata, di colore porpora, con croce greca d’oro, collocata in capo a destra, seguita dalle lettere maiuscole d’oro S.P.Q.R. poste in banda e scalinate, cimato di corona di otto fioroni d’oro, cinque dei quali visibili”. Con ciò sottraendo la libera utilizzabilità di tale primario simbolo capitolino alla disponibilità di chicchessia e sancendone l’appartenenza esclusiva al Comune di Roma.




E se qualcuno nutrisse ancora o volesse artatamente seminare qualche ulteriore dubbio in merito, peraltro, giova chiarire che della questione si sono già occupate dottrina e giurisprudenza, convenendo uniformemente che:

1) lo stemma comunale è attualmente disciplinato dall’art. 6, comma 2, del T.U.E.L. n° 267/2000, che demanda all’autonomia dell’ente, e quindi allo statuto, la sua determinazione, con l’eventuale previsione di una specifica disciplina regolamentare per le modalità di utilizzazione dello stesso;




2) lo stemma costituisce il segno distintivo comunale, l’elemento grafico rappresentativo dell’identità dell’ente e, pertanto, costituisce proprietà del Comune il quale può agire, mediante la tutela riconducibile a quella del diritto al nome di cui all’art. 7 del Codice Civile, contro chiunque ne faccia un uso improprio o comunque non consentito; 

3) l’Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le onorificenze presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in risposta a taluni quesiti, ha già avuto modo di chiarire che «lo stemma è un bene immateriale dell’ente ed è salvaguardato dalle leggi dello stato alla stregua del cognome delle persone e di altri diritti immateriali»; e ancora, che «è fatto divieto assoluto di appropriarsi dello stemma del comune, ciò anche se le finalità sono umanitarie, senza scopi di lucro, pur se approvate dal comune stesso», mentre per le manifestazioni culturali, può essere presente nella locandina «lo stemma dell’ente patrocinante, ma ne va richiesta comunque l’autorizzazione all’ente stesso».

Dura lex, sed lex, verrebbe da dire…

(fonte: Nuovo Corriere Laziale)






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