Nel giorno dell’anniversario dei trent’anni dallo storico gol siglato contro il Campobasso, Fabio Poli è intervenuto sugli 88.100 di Elle Radio nella trasmissione Laziali On Air, per ricordare quella partita decisiva per la storia della Lazio ed anche per parlare del presente della squadra allenata da Simone Inzaghi.

Quando hai preso consapevolezza dell’importanza di quel gol? Inizialmente sapevamo comunque quanto quella partita fosse vitale, ma in questi trent’anni ho capito, grazie alle manifestazioni d’affetto dei tifosi, cosa ha significato quel gol per la storia della Lazio. Per questo devo dire grazie ai tifosi, che ci hanno fatto sentire degli eroi.

Quel gol ha avuto un’importanza maggiore a una Coppa dei Campioni…
In quella squadra c’erano giocatori che avrebbero potuto fare scelte professionali importanti, andando a guadagnare molto altrove. Abbiamo deciso di restare tutti proprio perché avevamo tanto da dare alla Lazio, sentivamo l’amore dei tifosi e volevamo ricambiarlo.

Qual è stato il momento chiave di quella stagione?
Sicuramente gli spareggi, ma credo aver iniziato così bene la stagione sia stato fondamentale, anche se forse a Gubbio il discorso di Eugenio Fascetti ci ha fatto capire quanto teneva al fatto che rimanessero tutti. Un’altra partita chiave fu quella col Bari, giocata in modo spettacolare. Quella è stata la svolta che ci ha fatto fare un campionato così importante. Siamo stati un gruppo vero che è riuscito ad arrivare fino in fondo: ricordo personaggi come Enrico Montesano che furono fondamentali, fecero sentire la loro presenza tranquillizzandoci.

La partita fu arbitrata da un grande direttore di gara come Casarin: quale clima c’era in campo quel giorno?Non pensi a quello che può succedere dopo, durante la partita sei sereno ma l’adrenalina la vivi prima e dopo, mai durante. Casarin aveva la qualità di saperti tranquillizzare, il pathos di quell’incontro l’abbiamo sentito prima e dopo il match.

Come avete vissuto la notte prima di quella partita?Dipende dal carattere della singola persona, come uno è abituato a vivere certe emozioni. La notte prima si è dormito poco, la sensazione più strana fu quando ci alzò la mattina e nessuno era sceso dalle stanze, tutti erano rimasti a pensare e a concentrarsi, senza voler vedere nessuno fino all’ora di pranzo. Fascetti ci disse semplicemente di andare in campo e di ricordarci che eravamo più forti.

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